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Supermarket: il miglior calypso della riviera viene dalla montagna!

Intervista ad Alfredo Nuti dal Portone

by Michele Orvieti

Foto © Valentina Grilli

Foto © Valentina Grilli

Foto © Valentina Grilli

Prosegue il nostro viaggio attraverso le molteplici diramazioni e deviazioni attorno al liscio romagnolo.
Questa volta, degni di una presentazione da circo, siore e siori, ecco a voi i Supermarket, primo e unico ensemble di world music romagnola al mondo!
Il progetto capitanato dal chitarrista Alfredo Nuti dal Portone (collaboratore anche di Saluti da Saturno, Jang Senato, Giacomo Toni, Granturismo e di quell’Extraliscio di cui abbiamo già parlato qui nella prima puntata) mescola sapientemente calypso, tango, mariachi e manouche, free jazz, no wave e punk. È una compagine brillantissima e delirante che propone temi e ritmi dall’imprinting “solare”, ispirati a una riviera decadente e kitsch, forse anch’essa immaginaria in quanto nata dalla fantasia di gente dell’Appennino, che detesta il mare e non sa neanche nuotare.
Come sostiene il giornalista e scrittore Luigi Bertaccini, fine conoscitore dei musicisti della Romagna, i Supermarket sanno ricreare l’Africa, New Orleans, la balera, i tropici, il Sud America così come Salgari ricreò la Malesia senza esserci mai stato.
La sigla Supermarket nasce attorno al 2010, quando Alfredo congegna, quasi per gioco, un primo esperimento di nucleo energetico senza repertorio: attingendo a suggestioni semplicissime, l’originaria formazione fu una specie di side-project folle, caratterizzato dall’intercambiabilità di tutti i musicisti. Una ressa incontrollata ma “viva”, che con il tempo ha riunito in sé, al di là di ogni aspettativa, la migliore fantasia romagnola, fino alla stabilizzazione di un quartetto più o meno fisso.
Grazie anche al loro cabaret spontaneo i Supermarket si sono evoluti nel corso degli anni in una mini orchestra spettacolo a tutti gli effetti, che vanta centinaia di esibizioni l’anno e migliaia di copie di un demo (vuoto) vendute.
Oltre al funambolico Portone, l’ensemble annovera: Marcello “Gianduia” Detti (trombone, ottoni di tutti i tipi, imbuti, conchiglie e cabaret), Roberto Villa (contrabbasso e basso elettrico) e Daniele Marzi (batteria e percussioni). Il loro primo LP, Portobello, è stato prodotto dall’altrettanto romagnolissima L’Amor Mio Non Muore, label legata a doppio filo all’omonimo studio di registrazione interamente analogico e vintage con sede a Forlì.
World music romagnola sprofondata nella provincia infinita: il miglior calypso della riviera viene dalla montagna!
Ho chiesto subito ad Alfredo Nuti dal Portone di darmi la sua definizione di “world music romagnola”.
Con i Supermarket mi sono reso conto presto che certe sfumature di genere, sicuramente presenti nella nostra musica, sono – nostro malgrado – tra le cose che di solito si associano alla cosiddetta “world music”. Allo stesso tempo, il fatto di odiare i bonghi, la cucina etnica, le babbione che ballano la salsa, i festival buskers, la finta profondità delle culture millenarie, i birkenstock e l’intera vulgata dei puzzolenti, ci ha portati a prendere coscienza di una realtà imbarazzante: il nostro totale disinteresse per la filologia e gli ambienti in cui veniva (ri)proposto questo – pur splendido – “villaggio globale” della musica.
Che fare, dunque?
Dal canto mio, credo che tutti i generi di musica folk (la parola fa schifo, lo so) stiano benissimo a casa loro, nel contesto sociale in cui hanno trovato ragione di essere e autenticità, ma che fuori da questa “casa” possano invece rivivere in nuove attitudini e forme di vita, queste sì, in grado di arricchire tutti. Ha senso per noi musicisti di oggi ricercare con uno studio ventennale l’andatura autentica, che so, della Samba (senza tra l’altro mai riuscirci), quando questo concetto è chiaro a un qualsiasi bambino in fasce di Rio de Janeiro che magari non vorrà mai occuparsi di musica? Siccome non mi va di sentirmi – perlomeno a priori – più scemo di un neonato brasiliano preso a caso, credo sia giusto considerare i fatti da un punto di vista diverso: nel nostro caso, con i Supermarket, vorrei che tutta la varietà musicale venisse riprocessata con coerenza secondo il nostro spirito e la nostra cultura, con un totale e gioioso disinteresse per il canone musicale di Paesi che nemmeno conosco. Mi basta aver sentito una roba alla radio, insomma; la lingua poi, ce la devo mettere io. Lo trovo doveroso.
Come è noto, in Romagna il liscio lo si incontra prima di nascere, quindi è normale che sia diventato una specie di fatto naturale, fisiologico, cui nessuno presta troppa attenzione perché è, in qualche modo, auto-evidente.
Quando ero bambino, i miei facevano le “veglie” con gli amici in certi ruderi di campagna, dove ci si portava da mangiare da casa e si metteva tutto in comune. Senza curarsi del fatto che esistessero gli stereo, con una colletta si pagava il fisarmonicista, che da solo, pestando come un dannato, doveva far ballare tutti per quattro o cinque ore (ancora oggi non so spiegarmi come facesse). Ho un bel ricordo allegro di quelle serate, dove mi lasciavano a dormire su una panca, e io non sapevo di vivere le ultime e tardive eco di un mondo che in seguito non ci sarebbe stato più.
Invece il mio primo approccio alla musica risale a quando, a sette/otto anni, suonavo il clarinetto nella banda comunale: mi guadagnavo da vivere con i funerali e tutte le volte che moriva qualcuno per me era una gran festa, specie se lo scomparso era comunista, dato che erano loro, di solito, a volere la banda, citando spesso “l’ultimo concerto” anche tra gli obblighi testamentari.
In queste occasioni il saxofonista di fila, detto “Pelliccia”, mentre suonavamo Mozart, vibrava le note come un cicalino impazzito: fu lì che mi accorsi per la prima volta del “mood” tipico del genere, e della sua differenza rispetto a tutto il resto. Con buona pace del direttore (che era disperato), ovviamente ancora adesso preferisco un Mozart con il saxofono e i vibrati “pellicceschi” a quello di un grande direttore d’orchestra tipo Daniel Barenboim. Per il piacere dell’aneddotica dirò anche che questo antico saxofonista è lo zio di “Gianduia”, il genio che assieme a me ha fondato i Supermarket... quando si dice “il destino”.
La Romagna è il posto più bello del mondo anche se, almeno all’apparenza, non può farsi vanto di quelle profondità vulcaniche e di quei gesti eleganti e antichi che per un siciliano o un napoletano sono aria e pane quotidiano. È come se fosse “superficiale”, ma in un suo modo peculiare e unico. Romagnolità, parlo per me, è questa leggerezza di superficie – una superficie “spessa” però, come quelle di Warhol.
Della nostra musica romagnola prediligo nettamente quella strumentale: la trovo complessivamente più integrale e riuscita, grazie soprattutto al canone stilistico e virtuosistico che ha saputo creare e che le è peculiarissimo.
Tuttavia la canzone “Mâma luntena”, che abbiamo anche riproposto con ExtraLiscio, ha sicuramente uno dei miei testi preferiti (anche se credo abbia imperdonabili origini emiliane).
Poi ci sono tutte le canzoni di Secondo, che per me sono fuori da ogni giudizio, come fuori da ogni giudizio ritengo debba essere tutto il lavoro di chi è stato così grande da riscrivere un “canone” per intero. Una cosa che mi mette spesso in difficoltà con i “duri e puri” è che amo molto anche la successiva produzione di Raul, che ho sempre considerato un geniaccio e che ha ispirato profondamente il nostro lavoro con i Supermarket. Rispetto ad altri folklori d’Italia (e ancora una volta penso a quello siciliano, o alla canzone napoletana) non credo però che nella nostra tradizione si siano mai realmente incontrate musica e poesia, forse proprio per quella “superficialità” di cui dicevamo prima. Comunque, anche su questo, ci sarebbe da discutere.
Romagna terra di tanti grandi musicisti: così tanti che non saprei da dove cominciare!
Escludendo, per conflitto di interessi, i miei collaboratori (che sono molti, e che considero i migliori dell’universo), vorrei citare tutti i gruppi della Falafel Fazz Familia, perché sono un meraviglioso incunabolo di nichilismo tropicale del futuro. Poi i cantautori Enrico Farnedi, per la semplicità profonda e così “familiare” del suo mondo, e Andrea Cola per il talento melodico e l’eleganza nel suono. Poi ci sono band come Sacri cuori e Amycanbe che primeggiano per serietà di progetto e per l’indiscutibile “profilo” raggiunto negli anni. Andrei avanti con tutti i grandi jazzisti romagnoli che per anni hanno fatto la spola con Bologna e che sono i migliori d’Italia. E via discorrendo... solo per rendersi conto che non mancano certo né le idee, né le persone.
È una regione matta. Faccio un’eccezione a quanto detto sopra (sul fatto di tacere dei miei compagni di viaggio) per quanto riguarda Giacomo Toni, che per me è il talento migliore non solo di questa regione, ma anche delle altre venti (diciannove, forse: è che rivoglio la Dalmazia!).

MÂMA LUNTENA
(Antico canto romagnolo – Musica di Clemente Gusella)
Oh che bel sogn ca’ io’ fat
dla mi ma’ dla mi ca’ tra i mont
o’ sugne’ quand c’andeva schelz par la mi campagna
i prim an co passe’ cuntent
in tla mi rumagna.
Bela vision d’un tramont
d’una antiga canzon d’amor.
Vola pansir da la mi ma’
vola tra i mont in tla mi ca’
e mi nid le’ lazo’ rumagna bela
a turnero’ un bel de’
a viv tranquel da te.

MAMMA LONTANA
Oh, che bel sogno che ho fatto
la mia mamma, a casa mia, tra le mie colline
ho sognato di quando andavo scalzo per la mia campagna
i primi anni che ho trascorso felicemente
nella mia Romagna.
Una bella visione di un tramonto,
un’antica canzone d’amore.
Vola il pensiero dalla mia mamma
vola attraverso le colline, fino alla mia casa
il mio nido è laggiù, bella Romagna
tornerò un bel giorno
a vivere tranquillo da te.