Mirabilia è una libreria un po’ particolare. E ha anche dei clienti spesso “molto particolari”. Con alcuni di loro abbiamo avuto il piacere di approfondire la conoscenza andando oltre il semplice rapporto cliente-libraio.
Alessandro Valieri entrò a Mirabilia un giorno di metà dicembre. Scattò subito una particolare ‘vibrazione’ reciproca. È tornato a trovarci poi molte altre volte e abbiamo avuto modo di scoprire che, oltre che un cliente affezionato, era anche un personaggio complesso e affascinante. Ed è a lui che dedichiamo questa prima puntata di “Clienti Mirabiliosi”.
LA MIA NON È CERTO LA VITA DI STEVE MCQUEEN!
La vita di ciascuno di noi si muove sui binari delle regole borghesi.
Io l’ho sempre fatto, con una declinazione tendenzialmente ‘utilitaristica’: senza il denaro, in questo mondo e attraverso queste regole borghesi, non puoi acquisire nulla.
Ho cercato quindi, fin da piccolo, di inquadrarmi dentro una ‘figura’ per potermi garantire l’accesso al mondo dei desideri: dal Piccolo Principe in poi impari che esiste la monetina d’oro per poter accedere alle nuvole.
Ho pensato dunque fin da subito, pragmaticamente, di volermi garantire un’opportunità in più invece di due in meno.
Mio padre è un medico e io ho visto cosa succede a fare il medico in una piccola realtà come la Codigoro della mia infanzia: una figura socialmente importante, affermata e stimata. Non proprio il ‘sindaco’... ma quasi!
E ho deciso fin dall’adolescenza di voler fare la stessa professione di mio padre.
Crescendo ho sviluppato un’attitudine ‘maniacale’: sono nato il 2 settembre, sono della Vergine, e volenti o nolenti nelle stelle c’è scritto tanto di noi. Un segno di terra, portato al metodo e al pragmatismo. Ho iniziato dunque a sviluppare una grande capacità mnemonica (in realtà questa era innata, ma fu messa ben presto sotto stress da mia madre e dai nonni). Diventai una specie di fenomeno da baraccone: i miei mi portavano in giro, mi facevano leggere 10 righe e io le ripetevo mnemonicamente sbalordendo gli astanti. Questa continua competizione con me stesso mi portò a sviluppare l’attitudine a primeggiare, cercando da sempre di fuggire lo spettro del “non riuscire” e quindi del “non ottenere la corona d’alloro che permetterà di accedere ai tanti benefit della vita borghese (di cui sopra)”.
Questo è continuato negli anni della scuola dell’obbligo e poi al liceo scientifico. Alla fine dei 5 anni di liceo, invece delle due che normalmente si portavano a quei tempi, scelsi di portare all’esame di maturità tutte le materie(!). Arrivai a scrivere una lettera al provveditorato (con tanto di articoli sul Resto del Carlino nazionale... che conservo ancora a casa!). Alla fine, dopo aver battagliato tenacemente, il provveditorato di Ferrara acconsentì. Fui interrogato su tutte le materie, nel corso di un esame che durò più di 4 ore: presi 60/60, altri articoli sui quotidiani locali, interesse del Rotary Club... Mettiamola così: non avendo altri talenti da mostrare, non essendo un artista o un creativo, questo era il mio modo di “ripetere le 10 righe” ed essere al centro dell’attenzione.
Quel voto volle dire tanto per l’accesso alla facoltà di Medicina (allora, come oggi, a numero chiuso): arrivai terzo su 900 candidati e iniziai a studiare medicina a Ferrara. A un certo punto, dopo aver collezionato una decina di 30 e lode, il libretto iniziò ad andare “da solo” dato che nessun professore se la sentiva di darmi poi un voto inferiore.
Dopo la laurea, presa coscienza che quel foglio di carta per il futuro non avrebbe avuto molto valore, mi diressi verso una scuola di specializzazione che avesse un accesso libero-professionale, scartando così il servizio pubblico. Mi trovai di fronte a 3 possibili scenari: oculistica, otorinolaringoiatria e ciò che faceva mio padre, cioè dermatologia.
Scelsi otorino per tre motivi: è una branca chirurgica; si tratta di una chirurgia sanguinolenta, la più sanguinolenta tra tutte, richiede forza fisica, è invasiva, demolitiva (tutto questo è decisamente ‘mirabilia’ perché è sicuramente tra le discipline chirurgiche più evocative di sentimenti contrastanti come paura, stupore, ribrezzo...). È inoltre una disciplina legata fortemente a un organo di senso, il naso, che mi affascinava moltissimo: è al centro del cranio come una sorta di stella polare e convoglia su di sé ben tre altri organi di senso!
COLLEZIONISMO: MANIA E PROCEDURA
Ho cominciato a frequentare il collezionismo fin da bambino. Essendo, come vi dicevo, della Vergine avevo l’astrale predisposizione alla programmazione seriale, all’accumulazione di una cosa accanto all’altra: soldatini, Playmobil, Lego, qualsiasi gioco aveva la sua classificazione, la sua scatola ben conservata, ipotizzavo già i ricordi che avrebbero potuto assalirmi molti anni dopo quando l’avrei riaperta(!). Il packaging, l’incarto, anche dozzinale, l’ho sempre conservato: dalla macchinina Polistil alla pista, al primo trenino Lima... tutto! Tutto conservato a costo di privarsi del piacere di giocarci realmente: con le macchinine ci giocavo ad esempio soltanto sul tavolo stando attento a non ammaccarle!
Altra forma di collezionismo che ho praticato fin da bambino: i vecchi biglietti del cinema… quelli anonimi, in carta quasi chimica, fragilissimi, verdi o rosa. E per ogni biglietto scrivevo, nel quaderno dove li collezionavo, data, titolo del film e giudizio.
Ho ancora tutto perfettamente custodito. L’accumulo toglie da un lato la capacità di fruire realmente dell’oggetto, ma dall’altro lo riveste di un enorme valore ‘spirituale’, evocando il momento in cui l’hai desiderato/l’hai acquisito/l’hai avuto realmente tra le tue mani. E questo piacere edonistico potentissimo dura pochi minuti. Un po’ come con le persone: i primi attimi, quando conosci qualcuno, sono insostituibili e sono gli unici che appagano; tutti gli altri sono seriali, sono ripetizioni. Tornando al collezionismo: c’è un continuo bisogno di riprovare questo attimo di piacere con un oggetto successivo (come una storia d’amore, come una droga).
C’è poi l’‘esibizione’: la ricerca della conferma, mostrando i tuoi oggetti agli altri e sperando che capiscano che ciò che esibisci esprime ciò che tu sei. Non è facile: è un meccanismo raro che si genera in poche persone, persone che magari già ti conoscono.
Fa parte integrante del ‘meraviglioso’ anche la consapevolezza (o presunzione) del suo collezionista di avere tra le mani un oggetto che egli immagina sia desiderato anche da altri; e fare in modo che quest’oggetto incanti gli altri, generi la ‘maraviglia’ (come dicevano i Medici).
Il ‘maraviglioso’ deve destare un sentimento: anche, ad esempio, quando l’oggetto è kitsch (dagli orientalismi pacchiani, ai cabinet orripilanti alla Napoleone III) e provoca disgusto, perché anche gli oggetti esecrabili suscitano un sentimento (concetto, questo, che porta il collezionista a effettuare anche acquisti folli o incongrui!).
L’oggetto d’arte ha un valore intrinseco: se è contemporaneo c’è sempre un autore che vende e che ha una quotazione derivata dal mercato; se è arte antica c’è quasi sempre una base d’asta o una perizia che lo valuta. Ma il meraviglioso è ben altra cosa: all’oggetto meraviglioso il valore viene attribuito dall’acquirente e dal proprio desiderio di possederlo. A volte c’è un vero e proprio rapporto pusher-drogato tra acquirente e venditore, perché chi vende quasi sempre riesce a entrare nella testa del collezionista e a percepire il suo desiderio oltre misura per l’oggetto! Il meraviglioso quindi non è “la cosa più bella” ma “la cosa che più si desidera”. Io non sono interessato all’oggetto d’arte in quanto ‘investimento’, in quanto “merce costosa”: vado a scovare l’opera che evoca in me una sensazione forte nella speranza che possa evocarla anche agli altri.
A volte diventa una ricerca tendente all’infinito. Un esempio. Partiamo con uno strumentario scientifico ottico. Si inizia coi telescopi e microscopi. Poi si entra nel mondo dei sestanti: e la ricerca vira verso la ‘nautica’ abbandonando l’ottica. Nella nautica il tuo interesse viene catturato da un misuratore digitale di palle di cannone di un sottomarino. Dal sottomarino si entra nel mondo dei ‘militaria’: il coltello è un’arma da difesa e da offesa. Se il coltello è orientale si entra nel mondo del ‘Giappone’. Da Giappone a ‘eroismo’ è un passo: chi erano gli eroi? Dagli eroi si rientra nella guerra e specificamente nella Seconda Guerra Mondiale, arrivando fino alla ricerca di un particolare francobollo nazista. È uno stream of consciousness particolarissimo; e so per certo che lo applichiamo sia io sia le persone che hanno la mia stessa passione, una sorta di circuito fatto sempre dalle stesse facce. Ci ritroviamo alle aste, alle fiere: molti li conosco personalmente e ci salutiamo... con altri non ci salutiamo ma siamo felici di ritrovarci negli stessi luoghi.
Il Mirabilia ha un’altra caratteristica fondamentale: deve essere ‘unico’, insostituibile, irriproducibile. La serialità gli toglie la sua qualifica di ‘mirabilia’.
Lo ‘scambio’, ad esempio, che è l’anima di filoni storici del collezionismo come francobolli, monete, figurine, Subbuteo, è distantissimo dal collezionismo di ‘mirabilia’: nessuno che abbia mai conosciuto scambia/cede/rivende oggetti wunder. Perché l’oggetto entra a far parte del tuo vissuto, diventa una parte di te: non si può vendere un sentimento.
Quando ero piccolo andavo spesso in montagna con mio nonno paterno, uno dei primi collezionisti di famiglia che ho incontrato.
Lui aveva un particolare modo di pensare: credeva fortemente che la limitazione di una cosa ne aumentasse il desiderio e che questa privazione fortificasse lo spirito, aumentasse la disciplina. Quindi, durante le lunghe passeggiate in montagna, razionava l’acqua, la cosa di cui avevamo più bisogno in situazioni di fatica, più del cibo.
Questo modo di fare, comunque bizzarro, mi ha insegnato a dare un valore, specialmente alla merce di scambio, al denaro. Ma soprattutto mi ha insegnato a risolvere un altro annoso problema del collezionista (che non abita in un museo, ma in una casa) e cioè “lo spazio”, che normalmente non è sufficiente a contenere tutti gli oggetti che possiede! La soluzione è la ‘turnazione’: c’è una ‘panchina’ enorme (come nel calcio) dalla quale poter scegliere di volta in volta gli oggetti, sostituirli con regolarità, cambiarli di posto. E tutto questo alla fine dà un piacere moltiplicato: perché quando non si vede un oggetto da un bel po’ di tempo... quell’oggetto inizia a mancare... e lo si desidera ancor di più (come l’acqua durante le passeggiate con mio nonno)!
A proposito delle pulsioni maniacali di un collezionista: ricordate i Dylan Dog della prima edizione? All’epoca la carta non era come quella di oggi... era una carta stranissima. Il primo albo del settembre del 1986 aveva inoltre la copertina prevalentemente nera. Ai tempi leggevo Martin Mystère, Mister No... mio zio leggeva Tex. Dylan Dog era proprio realizzato per attirare persone come me, amanti del misterioso e affascinate dalla scoperta e dall’enigma. Ecco: io leggevo Dylan Dog con i guanti!! Perché l’impronta dei polpastrelli, su quella carta e quegli inchiostri dei primi numeri... non veniva via (nemmeno col panno in microfibra)!! Mi ricordo che mi portavo Dylan Dog in spiaggia d’estate… e anche lì lo leggevo coi guanti!
Un’altra mia fissazione maniacale: la legatura sul dorso, in ogni libro, ha sempre un punto di cedimento nel momento in cui questo viene aperto completamente più e più volte. Ecco, per evitare questo io mi ritrovo quasi sempre a leggere i miei libri ‘semiaperti’: se venite a casa mia e guardate il dorso dei miei libri potreste benissimo dire “non sono letti!”... e invece se guardate all’interno sono tutti sottolineati.
Altre paranoie da collezionista: quando entro in un negozio difficilmente esco senza aver acquistato qualcosa, perché altrimenti dopo essere uscito mi viene qualcosa di molto simile al mal di pancia somatico, un senso di frustrazione fortissimo. Perché l’aspettativa di riuscire a trovare qualcosa di nuovo in un negozio è sempre molto alta.
La procedura è fondamentale nello sviluppare una collezione.
Quando vai a un’asta o a un mercato, se vuoi non comprare basta uscire senza denaro. Io non esco mai senza denaro: perché penso sempre che potrò acquistare quella cosa di cui non ho bisogno… ma di cui invece ho un bisogno insopprimibile. E se esco da un negozio senza aver acquistato qualcosa mi rimane sempre una gran frustrazione.
Si riesce a dare un giusto peso al possesso quando si dà il giusto peso al bisogno di quel possesso. Se ai tuoi figli regali ogni giorno dei nuovi giochi senza dargli gli strumenti per capire che questi giochi sono stati acquistati e hanno un prezzo... perderanno il gusto di averli e di collezionarli.
LUOGHI INSOLITI E MOLTO ‘WUNDER’
Il luogo abbandonato è per me sinonimo di abbandono sia fisico sia spirituale: quindi ciascuno di noi porta il proprio spirito dentro un luogo normalmente non vissuto.
Uno dei luoghi insoliti (e inquietanti) che mi hanno sempre affascinato: è vicino a Comacchio (che già di per sé è luogo particolarissimo... una città sull’acqua): si tratta della casa dove Pupi Avati ha ambientato La casa dalle finestre che ridono. Quando ero giovane nel mio gruppo di amici il gioco più divertente era quello di scavalcare le recinzioni ed entrarci in barba ai divieti. Anni dopo, sempre con amici, ci siamo tornati di notte girando anche dei video in stile “found footage”.
Altro luogo in Romagna che adoro è l’ex Eridania di Forlì, un’area industriale dismessa con uno spazio, una magia, una musica veramente unici. Si snoda tra altiforni pericolanti, sostanze tossiche, pericolo di ruggine, serpenti che spuntano all’improvviso...anche questo è il wunder, l’‘insolito’, luoghi che ti evocano sentimenti forti come la paura (sentimento che adoro e che ha accompagnato tutta la mia vita).
Ferrara, più di Bologna, nell’ambito dei luoghi inconsueti rappresenta certamente un unicum. Ferrara è stata una città rinascimentale amministrata e amata da una corte che ha voluto racchiudere in tantissimi angoli significati totalmente diversi. Uno dei luoghi ferraresi che amo di più è la Chiesa del Corpus Domini, dove ci sono le arche degli Estensi: poco famosa, si visita su richiesta e permette di andare a vedere dove riposa lo spirito di chi ha vissuto fisicamente quella vita di corte centinaia di anni fa.
Cercare e visitare tombe, ossari, cimiteri è una delle cose che trasversalmente mi portano da San Martino della Battaglia, in Lombardia, con la sua torre a spirale piena di teschi, alla Chiesa di San Bernardino alle Ossa di Milano, fino alla Chiesa della Morte di Urbania, a una ventina di chilometri da Urbino, con le mummie meglio conservate del mondo (luogo poco conosciuto, gestito da una guida non ortodossa… 2 euro per visitarla). Tra i musei che adoro, il mio preferito è il Museo di Storia Naturale di Venezia: luogo ignorato da ogni itinerario turistico veneziano e forse anche per questo magico e unico. Altro luogo museale insolito di cui adoro parlare è il Museo Spallanzani di Reggio Emilia, voluto dallo storico, biologo e accademico Lazzaro Spallanzani, che rimane aperto nei giorni feriali dalle 10 alle 13: un orario improbabile, sia per la visita stessa che per l’eventuale viaggio di chi lo vuol visitare ma non abita a Reggio Emilia!
Ecco, spesso i luoghi insoliti sono così proprio per essere stati volontariamente o immeritatamente resi insoliti: in questo senso una delle istituzioni che sostengo e promuovo senza sosta è il FAI, che ha costantemente fatto emergere da questo mondo di luoghi negletti tantissime realtà che nulla hanno da invidiare ai monumenti di grande notorietà. L’unico problema del FAI è che è “insolito e segreto” a sua volta: realtà meritevole ma poco nota tranne per gli sparuti eventi mainstream nazionali (come le “Giornate del FAI”).
IO E MIRABILIA
Ho conosciuto Mirabilia per caso. Era una giornata di metà dicembre, ero in giro a Bologna con mia figlia per acquisti natalizi e, nonostante l’ora tarda, i pacchi e la stanchezza, sono rimasto folgorato e non ho potuto fare a meno di entrare (e acquistare!).
Anzi, ho subito pensato “Ma questo è il mondo dei sogni!”. E mi sono detto anche: “Su Mirabilia io devo investire!”.
Mi hanno attratto il nome della libreria, il suo logo in vetrofania all’ingresso, la ricercatezza degli spazi e lo stile con cui era allestita la vetrina. Ho capito fin da subito che Mirabilia non è un luogo fatto per ‘lesinare’: appena entrato, capisci che dietro c’è un gruppo editoriale, una mente, un’ambizione, un’idea e un progetto forte e duraturo.
Voi fate un bellissimo lavoro: siete in un bel luogo, perché non è scontato lavorare sotto una volta a botte affrescata, siete al centro di una città magica e quando chiudete, la sera, ovunque abitiate o abbiate parcheggiato, percorrerete una via meravigliosa. È una cosa preziosa e spesso ci dimentichiamo delle cose preziose sempre che abbiamo sempre sotto i nostri occhi.
Tra gli oggetti di Mirabilia che mi hanno affascinato di più ci sono sicuramente gli ‘assemblaggi’ di Fausto Gazzi. Trovo che le sue lampade siano meravigliose. Nello specifico quella chiamata “Dental Phantom” mi ha stupito perché, pur essendo un otorino, non sapevo cosa fosse il “Dental Phantom” e inizialmente pensavo facesse parte delle ‘militaria’. La lampada è concepita con un gusto e un allestimento estremamente wunder, nell’ottica del wunderschön tedesco (“incredibile... ma dai, davvero?... come è stato possibile assemblarla in questo modo?!”).
Altra cosa eccezionale di Mirabilia sono gli orecchini di Laura Cadelo Bertrand: questi monili sono ‘preziosi’ non in senso commerciale, ma nel senso di ‘rarità’. I suoi lavori, anche i più recenti, rivelano una genialità e una creatività fuori dal comune.
Inoltre Mirabilia mi ha permesso di conoscere un artista che mi permetto già di definire ‘amico’, Enrico “El Fooser” Fuser: perché Mirabilia mette in contatto, crea sinapsi nervose tra persone che altrimenti non si sarebbero incontrate. E questa è cosa rarissima per le librerie e per gli esercizi commerciali in generale.
Ma se mi chiedete quali sono le cose più ‘mirabilia’ che io abbia mai visto... la risposta è scontata: sono le mie figlie!
MIRABILIA via de' Carbonesi 3/e Bologna centro
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