Ho pettinato i capelli all’indietro e lasciato la barba incolta, voglio che mi trovi bello ma ci tengo a rimanere me stesso. In realtà mi ha detto che non le interessa il mio aspetto, che per lei conta altro, ma dicono tutte così e poi ridono con le amiche dei tuoi baffi asimmetrici. Ho le mie solite sneakers bianche, una t-shirt verde bottiglia un po’ stropicciata e i jeans, quelli che non stiro mai. Mi ha detto che dal profumo della pelle si capiscono molte cose e allora non ho spruzzato nessuna essenza artificiale, neanche quella che metto ai matrimoni degli amici e ai primi appuntamenti. Oggi è il nostro anniversario, sono esattamente tre mesi che ci conosciamo. Non di persona, quello lo faremo stasera. Sono passati tre mesi dalla prima volta che le ho scritto. Ero annoiato, mi sentivo solo, così ho scaricato l’app per incontri che Marco mi consigliava sempre. Lui ha conosciuto così Melissa. Avevo scritto anche a una certa Martina ma è stata lei a rispondermi per prima: “Ciao, sono Lucciola”. “Carino il tuo nickname”. “È il mio nome, ho dei genitori con un gran senso dell’umorismo”. Dopo tre giorni mi ha chiesto di scambiarci i numeri di telefono, perché voleva assolutamente ascoltare la mia voce. Lei ha un timbro limpido, rassicurante, ha anche una bella dizione, fa teatro da quando era bambina. Quando è a casa parla, canta e legge ad alta voce, dice che così si sente meno sola. Mi ha fatto parlare anche con Stella, la sua labrador da cui non si separa mai.
Lucciola mi piace, nella foto di profilo ha gli occhi chiusi e la bocca aperta in un sorriso, capelli biondi mossi lunghi fino alle spalle, belle labbra. Abbiamo in comune la passione per il jazz e per la crostata di mele. A volte, devo ammetterlo, faccio fatica a starle dietro, non saprei dire perché. E non sono riuscito a spiegarlo neanche a lei: “Ho l’impressione che tu percepisca il mondo in un’altra maniera, in un modo più totalizzante, come se avessi dei sensi in più. Io sono una persona qualunque, che rifugge la complessità, non sarò troppo noioso per una come te?” “Assolutamente no, mi piaci per questo” ha risposto e la conversazione non è proseguita. La sera dopo le ho confessato che mi ero offeso, lei ha giurato che il suo voleva essere un complimento, che tutti vogliono sentirsi diversi ma pochi sopporterebbero di esserlo realmente, un po’ come chi dice che vuole vivere in campagna ma non ci resisterebbe più di due ore tra punture di zanzara, formiche nella dispensa e l’interminabile silenzio. Parliamo per ore, a volte ci addormentiamo al telefono, mi piace sentirla raccontare: “Quando ero piccola, nelle sere d’estate prima di dormire mia madre lasciava aperta la finestra della stanza e mi diceva di contare in silenzio fino a cento. Ogni sera lo facevo con l’emozione della prima volta e non sono mai rimasta delusa. Puntuali arrivavano. Decine di lucciole, potevo sentirle dal calore dei loro bagliori mentre si corteggiavano scivolando nell’aria della mia cameretta. Mia madre mi diceva che era questa la ragione del mio nome, che sin dalla mia nascita aveva intuito che avrei portato calore ovunque, anche quando dentro avessi sentito soltanto buio”.
Ed eccoci qui. Il vino è freddo, la cena calda, la luce soffusa, in sottofondo c’è la tromba di So What. Sento bussare, ho la salivazione a zero e il cuore che batte forte. Mi sistemo i capelli all’indietro, faccio un respiro profondo e scosto la tenda della finestra in cucina. Vedo prima Stella, il labrador, e accanto a lei Lucciola, che stringe tra le mani una crostata. È come nella foto del profilo, forse più bella, molto più bella. Capelli biondi lunghi fino alle spalle, camicia a righe bianche e blu, sorriso aperto. Occhi chiusi. Ne sento il calore accecante da qui. Tentenno un attimo, apro la porta.