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PERSEVERARE È DIVINO: LA STORIA DI JACOB BOLOTIN

by Ivan Cenzi

Foto @ Archives of the Chicago Historical Society

Foto @ Archives of the Chicago Historical Society

Frances Willard Hospital, Chicago. Siamo negli anni ‘10 del Novecento.
Il dottor Jacob Bolotin stava esaminando una giovane paziente. Tre altri medici prima di lui l’avevano visitata, e secondo loro era sana come un pesce: i suoi disturbi dovevano per forza essere di natura psicologica.
Bolotin appoggiò l’orecchio al petto della paziente. Di colpo, gli parve di udire il tipico rumore di una valvola cardiaca ostruita. Toccò lievemente la pelle: era appiccicaticcia di sudore. Premendo nuovamente l’orecchio al costato, il medico si concentrò e sentì, questa volta più distinto, il suono faticoso e attutito di una stenosi mitralica.
Disse alla donna di rivestirsi e si precipitò nell’ufficio del suo superiore, avvertendolo della scoperta. Fu così che la paziente si salvò.
Non ci sarebbe nulla di così straordinario in questo episodio, se non fosse per un piccolo particolare.
Il dottor Jacob Bolotin era cieco dalla nascita.
Nato a Chicago nel 1888 da immigrati ebrei polacchi, Bolotin era l’ultimo di sette fratelli e il terzo affetto da cecità totale congenita. Di intelletto particolarmente vivace, Fin dall’adolescenza Bolotin mostrò un carattere irriducibile. All’epoca la condizione delle persone non vedenti non era certo rosea: venivano reputate invalide a vita, inadatte a qualsiasi tipo di lavoro, e finivano molto spesso a elemosinare qualche moneta agli angoli delle strade. Nonostante ciò, il giovane Jacob coltivava un sogno impossibile: laurearsi in medicina e ottenere la licenza professionale.
Dopo essersi diplomato a 14 anni, trovò un impiego come venditore porta a porta di pennelli e macchine da scrivere. Ogni giorno camminava solitario per ore, orientandosi con il suo bastone nell’affollato traffico di Chicago. Con i soldi guadagnati cominciò a pagarsi le rette all’Università.
La sua fu una strada in perenne salita. Dovette combattere per farsi accettare alla facoltà di medicina. Anche una volta laureatosi con lode, a 24 anni, le difficoltà continuarono: per un non vedente era impensabile essere ammesso all’esame per la licenza di dottore.
In realtà, durante il praticantato di Bolotin come interno all’ospedale, la sua competenza e la sua eccellenza in materia cardio-polmonare era stata ben riconosciuta sia dai pazienti – che lo adoravano – sia dai medici stessi, che spesso lo chiamavano per avere un suo parere. Ma da questo ad abilitarlo alla professione, ne passava.
Dopo anni di ostinate lotte per ottenere i giusti riconoscimenti, finalmente Jacob riuscì a diventare il primo medico praticante al mondo totalmente privo della vista.
Dobbiamo immaginarcelo mentre, orgoglioso, apre il suo tanto agognato studio medico. Si siede nella poltrona di pelle, e attende. Per mesi, nemmeno un paziente.
Poi arriva qualche giornalista del Chicago Tribune, attirato dalla possibilità di un bell’articolo scandalistico sul degrado dei tempi, in cui si affida la vita dei pazienti a un “povero cieco”.
E Bolotin risponde alle domande con una fierezza inaspettata: “Be’, cosa c’è di tanto notevole? Se un uomo non ha occhi, significa forse che non ha cervello? È questo il problema che il cieco ha con le altre persone. Tutto ciò che un cieco chiede è un po’ di fair play. Dategli una possibilità equa senza pregiudizi, e in genere riuscirà a reggere il confronto con i suoi colleghi più fortunati”.
Ecco, anche volendo sorvolare sulla forza d’animo che aveva dimostrato, a posteriori qualcosa di “notevole” c’era davvero: sentir parlare di pari opportunità quasi un secolo prima dei vari movimenti sociali per le disabilità.
Grazie anche alla pubblicità della stampa, Jacob Bolotin divenne un medico di enorme successo. Specialista in malattie cardiologiche e polmonari, fu anche un grande oratore e precursore delle battaglie per i diritti, l’impiego e l’integrazione sociale di ipovedenti e non vedenti. Morì nel 1924 a soli 36 anni: sembra che a causare il decesso sia stato il troppo lavoro, incessantemente diviso fra pratica medica e discorsi pubblici.
Dopo tutte le battaglie affrontate, Jacob Bolotin trovò la migliore delle ricompense nell’affetto di colleghi e pazienti: era così benvoluto che al suo funerale parteciparono più di 5000 persone.