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#NATURAMORTA

di Stéphanie Chasseloup

Noi e la natura.
Noi e il pensiero.
Noi e la morte.
Noi e il silenzio.

Philip Roth ha risposto a queste domande con un’osservazione: “L’uomo dice che il tempo passa. Il tempo dice che l’uomo passa”. Con questa considerazione ha descritto ne L’animale morente la storia di David, professore universitario incline alla facile conquista delle sue studentesse, che per uno scherzo del destino si ritrova innamorato della sua ultima preda Consuelo. Bella da far male, intelligente e sagace, che lo lascerà con il cuore spezzato per tornare anni dopo da lui, come un animale morente. Lei è malata, il suo corpo si sta decomponendo, un tumore le divora la parte che lui amava di più, il florido seno. Lei chiede che lui fotografi il corpo che ha amato, perché la natura che gliel’ha concesso bruscamente se lo sta riprendendo. Fotografie che Consuelo non vuole rivedere e non rivedrà mai, ma che lascerà a lui perché sa che è ancora attaccato a quel suo corpo che continua ad amare come non ha fatto nessuno degli altri uomini che le è capitato di incontrare. Nel finale, Roth ci regala la sua riflessione più bella per bocca di David: “Il passare del tempo. Ci siamo dentro, affondiamo nel tempo, fino al giorno in cui affoghiamo e ce ne andiamo. Questo avvenimento inesistente trasformato in un grande avvenimento… Il gran finale, anche se nessuno sa cosa sta finendo, se sta finendo qualcosa, e nessuno, certamente sa cosa sta per cominciare. Una sfrenata celebrazione di nessuno sa cosa”.

(Cit. L’animale morente, Philip Roth, Einaudi, 2001)

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