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L’obiettivo sulla tragedia

Città del Messico, una donna indigente trasporta la bara vuota, destinata a contenere il cadavere della propria figlia

Città del Messico, una donna indigente trasporta la bara vuota,
destinata a contenere il cadavere della propria figlia

Città del Messico, Adela Legarreta Rivas investita in Avenida Chapultepec

Cronache urbane, viscere e sangue, America Latina. Tre associazioni mentali immediate, che si applicano bene non solo a Pedro Lemebel, ma anche a Enrique Metinides, che da bambino riceve in dono una macchina fotografica da suo padre e da allora non smette più di scattare.
Da subito, le sue foto ritraggono quel che James Graham Ballard descriverà in Crash decine di anni dopo e che David Cronenberg trasformerà in un film: la morte violenta, le carcasse di auto, il sangue. Perché Metinides si specializza da subito nelle foto di incidenti stradali, e da bambino vede i primi morti assassinati e i primi cadaveri.
Quando Metinides comincia, siamo nella seconda metà degli anni Quaranta. La sua prima foto viene pubblicata quando lui ha appena 12 anni e a 13 entra nel team di La Prensa, quotidiano di Città del Messico, come assistente. Per i 50 anni successivi Metinides incrocia la morte nelle sue forme più tragiche: ribaltamenti di autobus, incendi, deragliamenti di treni, precipitare di aerei, omicidi. “Credo che se si potessero ammassare tutte le vittime e i cadaveri che ho visto in questi incidenti, il mucchio sarebbe alto come una montagna. Sono stato testimone dell’odio e del male, dell’istinto omicida fine a se stesso. Ho visto crimini incredibili commessi da ragazzini o da adulti. Magari per rubare un nonnulla. E ho trattato tutte le morti come se fossero l’inquadratura di un film”.
In una videointervista che lo ritrae in un salottino tappezzato di crocifissi, pieno di faldoni di materiali archiviati e di modellini curiosi – macchine della polizia, ambulanze, camion dei pompieri – Metinides spiega la storia di alcune delle sue foto più note. Una mostra una donna di schiena, che cammina in una strada trafficata con una piccola bara bianca sottobraccio. La bara è destinata ad accogliere il corpo di sua figlia e la donna percorre chilometri e chilometri a piedi, con il peso del suo dolore, perché non ha i soldi per pagare il trasporto del feretro.
Un’altra immagine ritrae il volto bellissimo di Adela Legarreta Rivas, una giornalista che stava andando a una conferenza stampa per presentare il suo ultimo libro e che morì investita da un’auto in Avenida Chapultepec: gli occhi liquidi, qualche traccia di sangue e di materia organica, i boccoli biondi e una mano elegante con le unghie smaltate. Quasi una foto da tabloid, incredibilmente sensuale e per questo estremamente perturbante. Sembra viva, ci viene da pensare, e comprendiamo appieno cosa vuol dire Metinides quando associa le immagini di morte violenta alle inquadrature cinematografiche.
E poi ci sono gli scatti in cui la morte è vista dalla prospettiva dei vivi, il pubblico, come uno spettacolo a cui assistere. Una foto mostra il cadavere di un uomo che galleggia nell’acqua e un uomo che nuota per recuperarlo. E, riflessi nello specchio dell’acqua, ci sono loro: centinaia di uomini e donne accorsi a guardare la scena, spinti da una morbosa curiosità.
Ora Metinides non esercita più, ma di ogni foto è in grado di ricostruire meticolosamente la storia: la morte gli è rimasta dentro e non può non toccare chi osserva i suoi scatti. Gli occhi liquidi di Adela Legarreta sono la sua cronaca urbana, e un po’ anche la nostra.

101 Tragedies of Enrique Metinides

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