Nostri vicini di casa, in pieno centro a Modena, Stefano e Massimo hanno fatto la storia della barberia della città, anche se in pochi se ne ricordano ancora. La loro boutique è stata aperta nel 1938 dallo zio di Massimo, Antonio D’Elia, e da allora ha avuto tra i suoi clienti l’alta società del modenese, personaggi di spicco come Enzo Ferrari. Stefano, uno dei due soci che abbiamo incontrato un lunedì mattina – iconoclastia del riposo barbieristico – ci racconta a proposito di Ferrari: “Come molti altri, veniva a farsi la barba tutti i giorni. Era un rito. Era qui tutte le mattine alle dieci. Prima andava a trovare suo figlio Dino al cimitero. Poi diceva ‘A vag a butega… ’ a Maranello, dove era la sua fabbrica. Era una falsa umiltà, ovviamente, quella della bottega… ”.
Molto più interessante della storia di Enzo Ferrari è quella di Stefano, paradigmatica di un tempo svanito. Cresciuto fin da piccolo in mezzo alla crema da barba, ci racconta: “Io vengo dalle Puglie. Ho cominciato a fare il barbiere all’età di 6 anni. Facevo le saponate. Mi mettevano sul panchetto e lavoravo. Cose che adesso ti mettono in galera dopo tre giorni. Andavo lì principalmente per non stare in strada, dove si potevano incontrare brutte compagnie, già a quell’età. Era una specie di doposcuola. Poi sono passato a fare qualche chierica ai preti e così ho continuato fino a otto anni. Lì ho cominciato a fare la barba col rasoio, qualche tagliettino, perché ci stava. Di solito ti mettevano sotto lo scemotto del paese che faceva da cavia, non pagava niente e tu gli facevi la barba.
Più avanti ho cominciato a fare qualche basetta, a pareggiare qualche baffo, avevo dieci anni. Per farla breve: quando non avevo ancora quattordici anni, sono arrivato a Modena. Mi sono trasferito da solo. Al primo barbiere che ho trovato ho detto: ‘Faccio il barbiere, non è che avete bisogno?’. ‘Perbacco vieni dentro!’. Mi hanno messo un camice più grande di me e ho cominciato a lavorare. Credevo di sapere già tutto, ma non sapevo nulla”.
A 14 anni da solo a 720 km da casa. E noi che ci lamentiamo perché dobbiamo prendere il treno per andare al lavoro. Già, queste generazioni sfaticate, distratte e intrise di accidia. Stefano non ci risparmia: “Quello che ho fatto io è impensabile per un giovane di adesso. Perché sono tutti rincitrulliti. C’è una tendenza al non attaccamento al proprio lavoro. Forse è la mancanza di necessità. Magari la crisi farà cambiare le cose”.
La sua storia continua: “A diciassette anni, passando di qui, ho conosciuto Massimo D’Elia, che è il mio socio. Conoscendo lui che lavorava già qui con suo zio, sono riuscito a entrare. Lo zio è andato in pensione e la bottega è passata a noi. Da allora sono qua ogni giorno, i tempi sono cambiati, ma noi siamo sempre gli stessi”.
Al di là della crisi e dei vecchi clienti storici, anche qui la moda delle barbe si è affacciata alla porta del negozio. “Ci sono dei ragazzi che ti fanno la corte pur di venire dal barbiere. Ma secondo me non puoi chiedere troppo per fare una barba, che inoltre ti porta via anche un sacco di tempo. È un’arte e come tale richiede cura.”
Ma che strumenti si usano oggi per sistemare le barbe? Cosa è cambiato?
“Adesso ci sono i rasoi monouso fatti con la lametta, perché quelli vecchi portavano dei problemi di malattie. Una volta invece, in una bottega come questa, ogni cliente abituale aveva i suoi strumenti riservati. Si tenevano in una specie di nicchia, una cassettina, con il nome del cliente: c’erano il suo rasoio, le sue creme e il suo sapone. Era un negozio di una certa levatura e chi lo frequentava si poteva permettere tutto questo, così come si poteva permettere di avere sempre un asciugamano pulito per gli impacchi. Nell’altro negozio in cui ho lavorato, invece, l’asciugamano durava anche per sette o otto clienti. Oggi i clienti vengono una volta alla settimana, lo fanno per concedersi un attimo di relax. Compiamo ancora tutti i riti che la cerimonia della barba richiede, ma non è più la stessa cosa.”
MASSIMO & STEFANO
Corso Canalgrande, 73
Modena