trascrizione1

La quarta

dentro ho questo amore e odio verso di lui. mio padre. da una parte lo ammiro molto perché è solo grazie a lui che sono dove sono nel mio lavoro. non mi ha mai dimostrato che gli piacesse quello che facevo. adesso. oggi. sì. ma quando ero piccolo. quando gli dicevo:  -guarda papà. guarda che cosa ho fatto!- lui non mi diceva mai che era bello. iniziò dicendomi che potevo fare meglio. e finì strappandomi il lavoro. e dicendo -tu non fai di queste cose. tu sei meglio di così. questo fa schifo- . e penso a tutti quei genitori che dicono ai figli che tutto ciò che fanno è meraviglioso. anche quando sono mediocri. io gliene sono grato. mi ha insegnato a ricevere delle critiche. mi ha insegnato a criticare il mio lavoro. duramente. posso sempre fare meglio di così. ma per il resto...

mi ha fatto fare una vita di merda.

non è mai stato innamorato di mia madre. forse anche noi siamo stati un incidente. dormivano in stanze separate. l’alcool. il lavoro. mio padre arrivava sempre molto tardi. e sempre ubriaco. sapevo come sarebbe stata la nostra serata da come suonava il campanello di casa al rientro dal lavoro. un tormento. sempre un tormento. se suonava una volta e basta... male. aprivo la porta. io. mia madre non apriva mai. lo guardavo. e nell’ingresso c’era una luce nel soffitto che faceva vedere le persone controluce. come se fossero sagome. lo vedevo fermo. la sua ombra ritagliata. e se tra il mio aprire e il suo entrare lui si fermava a fissarmi. in silenzio. sapevo che sarebbe andata male. molto male. -stanotte non dormo- pensavo. se invece suonava il campanello e con le nocche tamburellava sulla porta significava tranquillità.

mio padre era il patriarca. la figura dominante della famiglia. il capo branco. Il maschio. mia madre era sottomessa. mia madre non poteva parlare. non poteva discutere. rispondere a tono. quando mio padre alzava la voce tutti e tre sobbalzavamo terrorizzati. mio padre era un tipo bassetto. grasso con i baffi. mia madre minuta. con lo sguardo dolce rivolto verso il basso. mio padre non faceva niente in casa. mia madre doveva avere sempre tutto pronto. neppure noi. mio fratello e io. aiutavamo in casa.

quando nel registratore VHS compariva la scritta 22:00 era ora di andare a letto. alle 22:00 iniziava lo spettacolo. tutte le notti. mia madre con il grembiule da cucina ancora indosso. seduta al tavolo. ricurva. silenziosa. rassegnata. e mio padre blablablabla. senza fermarsi. sottovoce. un mormorio costante. sentivo mia madre a volte cadere. e alle volte mio padre alzare la voce. e dare un pugno forte sul tavolo. e ogni volta. io e mio fratello. trasalivamo. impauriti. non erano urla. né piatti rotti. era una violenza psicologica costante. non riuscii mai a capire cosa dicesse. blablablabla. solo lui. mia madre in silenzio. io e mio fratello svegli. che ascoltavamo senza capire. avevamo la sensazione che se ci fossimo addormentati sarebbe scoppiato il caos. avevamo paura che divorziassero. allora il divorzio era la fine del mondo. la cosa peggiore che ti potesse capitare. io pensavo che il divorzio significasse finire per strada. mia madre non lavorava. e quando a scuola parlavamo di queste cose. appena accennate. tutti subito dicevano che il divorzio era male. e allora tutti zitti. e io la notte non dormivo. e il giorno dopo avevo la testa piena di cose. ero stanco. e anche a scuola andava male. a volte mio padre ci veniva a svegliare. a tarda notte ci portava in cucina. ubriaco diceva: -figli miei... questo paese... vi voglio bene...- stronzate sull’amore. ci abbracciava. -papà ho sonno- dicevo -non mi rispondere quando ti parlo!-  tuonava. è una cosa che mi fa molta rabbia. la gente che beve e diventa sentimentale. io volevo che tutto si sistemasse. o che si parlassero il meno possibile. ma che la situazione non peggiorasse. che si mantenesse così. anche mia madre. credo. non pensava di divorziare. pensava che avrebbe trascorso tutta la sua vita con mio padre. che sarebbe stata così fino alla sua morte. poi una notte. stavamo guardando un film. mia madre lavava i piatti in cucina. sentimmo un piatto cadere e andammo a vedere. la trovammo appoggiata sul ripiano. un sorriso strano. non reagiva. -mamma stai bene?- non rispondeva.  barcollava. chiamammo un’amica. venne l’ambulanza e se la portò via. e mio padre quella sera capì che era meglio per tutti separarsi. e fu la cosa migliore che ci potesse capitare. lo seppi sin dalla prima notte. la prima notte in cui non tornò a casa mi sorpresi della tranquillità. della calma. della pace. e quella notte dormii. anche quella dopo.

mia madre non mi disse mai nulla. neppure dopo il divorzio. non ho mai saputo cosa le dicesse. tutte quelle notti. in cucina.