trascrizione1

La seconda

Lo so è una cosa stupida. Ma non me la sono mai dimenticata.
Loro avevano tutto. Tutto quello che io non avrei mai avuto. Erano carine. I ragazzini si innamoravano di loro. Erano le più belle della classe. Avevano bei vestiti. I loro capelli erano a posto. Le loro case erano belle. I loro giocattoli. I loro genitori erano carini anche loro. Non erano strani come i miei.
Avrei voluto essere loro amica. Ma ero timida. E sfigata. Diciamolo pure. Non me ne vergogno. E così stavo con le sfigate della classe. Sfigate come ero io. Mi viene da ridere. Una era piccolina come un topino. Con la pelle bianca bianca. E i baffi scuri scuri come gli occhi e i neri ricci che andavano da tutte le parti. Sua madre era giovane e suo padre era vecchio. E aveva due sorellastre. Perché suo padre era vedovo. E le sorellastre erano cattive. E la madre la obbligava sempre a pulire. Il sabato non poteva mai uscire. Perché doveva pulire. E le sorellastre non facevano niente. Si diceva. I suoi compleanni li festeggiavamo in garage. Per non sporcare. Poi ce ne era un’altra. Era grassa. A quel tempo c’erano pochi bambini grassi a scuola. Aveva i capelli biondi biondi come l’oro. Con tutti i ricciolini come gli angioletti. E gli occhi azzurro-grigi come il cielo d’inverno. E la pelle bianca come il latte con le guance sempre rosa. Lei era a posto. Se non fosse stato perché era cicciona. E a suo padre mancava una falange. E aveva la nonna più cattiva del mondo. Era sempre arrabbiata quella signora. Ci sgridava sempre. Ma non ci faceva paura. Solo ridere tanto.
Ah sì… quelle carine… mi sono persa… Non ero mai stata invitata alle loro feste. Non sono mai stata a uno dei loro compleanni. Così quando un giorno venni invitata a casa loro a giocare mi sentii al settimo cielo. Non capivo come mai questa grandissima fortuna… ma io sono sempre stata scema. Ho sempre creduto nei miracoli. Questione di fede. Così mi preparai tutta emozionata e andai. Con la mia bicicletta nuova.
Una bellissima bicicletta nuova che mi ero guadagnata. Io non parlavo molto ma credo che quel pomeriggio fosse il mio sorriso a parlare. Andammo a casa di una che mi offrì una merenda buonissima che mia madre non mi avrebbe mai dato. Poi a casa dell’altra che disse che avremmo fatto un giro in campagna. E a me piaceva tanto pedalare. Pedalare con le amiche. Le nuove amiche. Erano così gentili con me. Così sorridenti. Davvero. Non ci potevo credere. Ricordo ancora la strada. La campagna. Il colore del cielo di quel pomeriggio. L’odore dell’aria. Ricordo i loro sorrisi. I loro capelli. Ricordo l’esatta luce di quel pomeriggio. Ricordo l’immagine delle mie gambe che spingevano i pedali. Il telaio rosa della mia bicicletta…
E ricordo gli occhi azzurri della mia amica il giorno dopo. Le mattonelle bianche del bagno della scuola. Le grandi finestre che davano sul giardino. E i suoi occhi azzurri che mi dicevano che mi avevano invitata in campagna solo perché la ghiaia della strada avrebbe rovinato la mia bellissima bicicletta nuova.
ma la bicicletta non si rovina con la ghiaia…
non vogliono essere tue amiche. volevano solo rovinare la tua bicicletta
ma la bicicletta non si rovina con la ghiaia…
Non venni mai più invitata a casa loro. E la mia bicicletta continuò a essere la più bella. Ma ho spesso pedalato da sola. Non ricordo nient’altro. Solo che quel giorno decisi che certe cose non esistevano. E lasciai fuori tutte le parole di quegli occhi grigio-azzurri che mi facevano sempre le loro terrorifiche rivelazioni in bagno. Quando eravamo da sole. Vicino a quei lunghi lavandini rettangolari da dove bevevo l’acqua. Ma non mi lavavo mai le mani. Perché non amo lavarmi le mani. No non mi piacciono sporche. Ho sempre molta cura di non sporcarmele. Per non lavarmele. No. Non mi fa schifo l’acqua e nemmeno il sapone. Ma se posso non me le lavo.