L’uso identificatorio della fotografia psichiatrica trova le sue radici negli studi di fisiognomica. Una variante della fisiognomica fu la frenologia. Attraverso la schedatura, l’identificazione, la fisiognomica cercava di fissare il quadro del paziente nel momento in cui la fioritura di profondi elementi di follia traspariva nel sembiante così da elevare il paziente alla dignità di exemplum della sua categoria diagnostica.
L’applicazione della fotografia alla psichiatria, con l’idea che il ritratto fotografico potesse costituire la base scientifica per la diagnosi, si deve a Diamond che affermava “il fotografo cattura con irrefutabile precisione le manifestazioni esteriori di ogni passione, quale autentica indicazione della ben nota corrispondenza che lega la mente malata agli organi e alle fattezze del corpo”.
Il primo impiego della fotografia psichiatrica in Italia lo si deve ad Augusto Tamburini (1848-1919) nel frenocomio di San Lazzaro in Reggio Emilia. Lo psichiatra italiano si proponeva di “fissare a permanenza la fisionomia dei malati nelle varie fasi della loro malattia allo scopo di costituire un elemento di studio per la semeiotica delle malattie mentali”.
Tratto da “Chiaroscuri. Sui rapporti tra fotografia e psichiatria”, Cosimo Schinaia, Il volto della follia, Skira
Fotografie provenienti dall’Archivio dell’ex Ospedale Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia - Ausl RE