Roger Olmos

by Lina Vergara Huilcamán

Sin da quando ero molto piccolo mi intrufolavo nello studio di mio padre, che faceva il grafico ma vecchio stile, come quelli di una volta che lavoravano con Letraset, chine, pennini, compasso e cutter. Sui suoi scaffali aveva molti libri sul disegno e tra questi alcuni albi illustrati. Anch’io avevo i miei libri, pensati per la mia testa piccolina, ma furono le opere di Froud, Brad Holland, Caza e molti altri a farmi provare le prime emozioni illustrate. Erano i meravigliosi folletti e le fate di Brian Froud che odoravano di muschio e terra umida a farmi sentire il freddo, il terrore, non Paperino. Avevo ereditato la mano pittrice di mio padre e trascorsi tutta la mia infanzia a disegnare, un po’ come fanno tutti, solo che io non mi sono ancora fermato.
Oggi cerco di ricreare nelle mie illustrazioni ciò che quegli artisti risvegliarono in me: voglio dare ai personaggi una vita e un carattere che vadano oltre l’ultima pagina del libro. A volte ci riesco, a volte non proprio, ma credo che siamo tutti destinati a evolverci continuamente, sempre, finché non verrà gettata l’ultima palata di terra sulla nostra bara.
Sono convinto che la nostra immaginazione sia come un muscolo, che dobbiamo esercitare se non vogliamo che si atrofizzi. Ognuno dei libri che illustro mi dà l’opportunità di reinterpretare una storia, di immaginare un universo e dirigere il film a mio piacimento. Come illustratore io sono tutti: il regista, il tecnico delle luci, il direttore del casting, il costumista… l’unica cosa che di solito non controllo è la sceneggiatura.
Sono una persona abbastanza estroversa, un po’ folle e cerco sempre il pelo nell’uovo. Mi piace giocare con le parole e trovare soluzioni, alcune piuttosto surreali. Da piccolo invece stavo sempre in casa, sempre a disegnare, senza mai confrontarmi con nessuno. Il disegno mi è servito per comunicare, esprimere ciò che non riuscivo a trasmettere a parole. Una buona terapia. “Dimmi come dipingi e (più o meno) ti dirò chi sei.”
La cosa che più mi piace illustrare?
La fantasia, inventare universi paralleli dove ricreare esseri e paesaggi che potrebbero anche esistere. Raffigurare, senza basarmi su una sceneggiatura scritta, vicissitudini, storie o momenti vissuti che risultino familiari per tutti.
Vorrei piacere a tutti, piccoli, medi e grandi e se a qualcuno non piaccio vorrei che me lo dicesse per poter crescere, evolvermi.  
Mi piace trovare l’immagine giusta per ogni scena. Posso trascorrere un giorno intero a fare schizzi e prove per un’illustrazione, e non dormo fino a che non è rotonda. Posso cenare con gli amici mentre la mia mente continua a lavorare nello studio, perché ciò che stavo disegnando non mi convince del tutto. Sono i momenti peggiori, tutto diventa una montagna insormontabile: la data di consegna sembra più vicina che mai e ogni trillo del telefono o del campanello, ogni piccola faccenda da sbrigare sono come castighi imposti per ritardare la riuscita dell’illustrazione. Ma quando la matita esegue i movimenti giusti, PAM! Il termine della consegna torna ad allontanarsi e ho di nuovo voglia di uscire a bere una birretta e mi concedo persino il lusso di fare una passeggiata più lunga del solito con il mio cane.
Vorrei avere più tempo da dedicare ai miei libri e ognuno di quelli a cui ho lavorato racchiude in sé dei momenti importanti. Alcuni ho dovuto realizzarli in periodi non proprio felici per me e a scuola non ti insegnano a spargere allegria per immagini quando dentro sei a pezzi. Ma in tutto questo l’editore gioca un ruolo fondamentale. Già da un primo sguardo al libro si capisce se hai avuto la piena libertà di fare ciò che più ti piace. Se cercano di bendarti gli occhi e di controllarti il polso… MALE.
Ho appena concluso El rompecabezas (Il rompicapo) per OQO editora, con testi di Mau e Txabi Arnal Gil.
Un essere schifoso e ripugnante che fa quello che vuole con le vite degli altri e finisce i suoi giorni in modo piuttosto demoniaco. Mi piace. In fondo sono
un po’ scuretto.
Cosa sogno?
Di tornare a dipingere su tela, esporre… e mi piacerebbe un giorno avere otto mesi per realizzare un libro, stipendiato!