Il pesce-bambino

by Cristiana Pezzetta

Sono nato bambino e sono diventato pesce.
È accaduto in un giorno di neve pesante, che fuori scendeva lieve a rallentare gli impercettibili battiti del mio cuore. Avevo paura di quel liquido trasparente che mi faceva sentire troppo leggero. Come se io non fossi più, non più fatto di carne e ossa e sangue.
Una mano leggera si è posata decisa sulla mia spalla e io sono scivolato in acqua.
Un tuffo inaspettato e tutto si è sciolto dentro di me, il mio corpo è diventato fluido.
Ero come goccia di acqua, avvolta in un mare più grande. E imparavo a scrutare da lì, nell’acqua, qualcosa di me che prima non vedevo.
Per anni ho nuotato solcando oceani di immagini, mentre, onda dopo onda, scaglie di metalli preziosi si attaccavano voraci al mio corpo.
Scintillavo a ogni gesto, mentre fuori, al di là dei confini dell’acqua, sentivo in un suono ovattato muri roboanti di voci che chiamavano ancora al clamore un bambino che io non ero più.
Poi tutto è finito.
Una lama sottile ha disegnato contorni di curva precisa intorno al mio cuore, fin dentro l’addome.
Ho avuto paura, ho sentito il fiato mancare, l’acqua inghiottirmi, un sangue denso invischiare spazi sottili tra le scaglie.
Sono restato immobile a boccheggiare di terrore, a sentire il mio corpo tornare bambino.
Non volevo, gridavo senza parole, senza più ossigeno d’acqua a darmi la vita.
È così che mi sono trasformato in un uomo.
Nel dolore di un’assenza, il mio corpo fuori dall’acqua, troppo pesante.
Ma ho continuato a nuotare, fissando lo sguardo in schegge di ricordi che piano affluivano dentro di me.
E mi sono tuffato di nuovo, uomo per sempre.
Sono tornato a vincere. Solo. Un uomo.
Ma allora ho desiderato fermarmi.  
Ora a volte ci provo, mi immergo di nuovo e lascio che l’acqua riempia il mio cuore.
Ma non accade più nulla.
Solo gesti metallici che potenti mi guidano a galla a cercare fuori di lì un altro pezzo di vita.
Non sono più un bambino, un pesce-bambino.
Ora sono solo un uomo, un pesce fuor d’acqua.

Liberamente ispirato alla storia di Alexander Popov, nuotatore russo che negli anni 1992 e 1996 vinse l’oro nei 50 e nei 100 stile libero per due Olimpiadi consecutive. Nel 1996 a Mosca fu ferito gravemente in una rissa con un ambulante per difendere una nuotatrice, che poi diventò sua moglie. La ferita gli provocò il perforazione della pleura, costringendolo a mesi di inattività nei quali nuotare era solo un’attesa speranza. Tornò a gareggiare, e a vincere, agli Europei del 1997 e ai Mondiali del 2003, e ancora agli Europei del 2004, cui seguì il suo definitivo ritiro.
La caratteristica, ancora inimitata, del suo stile è stata quella di assecondare il fluire del corpo nell’acqua. A vincere non erano la potenza e la precisione dei suoi gesti (con i suoi 197 cm di altezza per 87 Kg di peso non aveva infatti la struttura potente per quel tipo di nuoto), ma quell’essere tutt’uno con l’elemento acqua, come se davvero accadesse in lui una trasformazione ogni volta che passava la soglia. A osservarlo nuotare si percepiva di essere di fronte a un nuotatore fuori dal comune, che dentro era diventato pesce.