Bussano. È la vicina. La faccio arretrare fino al suo uscio. Cerca Leo. Vuole chiedergli se può entrare in casa sua per leggere il contatore dell’acqua. Lei non ci riesce. “No Carla. Non è una priorità. Leo lavora. Prende l’autobus tutti i giorni. Non rischiamo.” Mi fissa silenziosa. Gli occhi un po’ strizzati, nello sforzo di capire questa lingua sconosciuta. Dice, preoccupata, di non avere mai inviato una lettura in ritardo in tutta la sua vita. Non sa cosa succederebbe. Ci guardiamo da due pianeti lontani. Non sono brava a dissimulare la rabbia. Le dico che potrebbe ricevere una bolletta con una lettura stimata invece che reale. Non credo abbia capito. La porta si chiude. Cerco di immaginarmi alla sua età. Non ci riesco.
Penso agli appartamenti grandi, alle villette con giardino privato, a quelle con la piscina. Penso a come cambino l’isolamento e la salute mentale in relazione agli spazi. Penso che sicuramente “staranno meglio loro”. Ma forse no. Penso agli spazi interiori, quelli immateriali, coltivati negli anni, nutriti dalle passioni, dalla verità. Penso a quelli che non possono più andare a prostitute, magari tanti hanno anche un giardino privato. Penso a chi non può vedere l’amante, alle doppie vite. Ognuno rinchiuso nella propria cella.
Guardo i miei capelli bianchi. La ricrescita ogni giorno è più evidente. Voglio vedere fin dove riesco a spingermi, anche questa in fondo è una prigione. Ma ho già la tinta pronta, so che non durerò molto.
Coltivo il mio spazio interiore, nel mio appartamento di sessanta metri quadrati, per rimanere a galla. La notte poi è il momento migliore. Se ho pensieri illuminanti, li ho di notte. Anche ora è notte.