L’EPIDEMIA DEL BALLO

di Riccardo Giacomini

Non vedo l’ora di uscire di casa,
tornare in strada,
tra la gente,
vicini gli uni agli altri.
E ballare.

Il nuovo secolo era iniziato da circa vent’anni quando la piaga iniziò a diffondersi. Un giorno, semplicemente, una ragazza in strada iniziò a ballare.
All’inizio non sembrava il principio di qualcosa di straordinario, ma dopo una settimana stava ancora ballando, e in quella settimana cento persone si erano unite a lei. Le autorità erano certe che la febbre sarebbe passata così come era iniziata. Si convinsero che il fenomeno, come un fuoco di paglia, si sarebbe esaurito più velocemente se fosse stato alimentato; perciò allestirono un palco di legno sopra al quale si poteva ballare, pagarono musicanti e danzatori esperti per dare ritmo e coreografia a quel ballo febbrile.
Dopo settimane lo smanioso veglione non si era affievolito e la gente iniziò a morire. Moriva per aver ballato senza requie per giorni, senza riuscire a smettere, nemmeno volendolo. Dopo un mese, le persone che ballavano, seppur stremate, erano quasi mezzo migliaio.
A quel punto, quando i morti divennero troppi e la cosa apparve chiaramente ingestibile, la gente venne allontanata dalle strade, così la folla fu dispersa.
I sopravvissuti, sfiniti dopo essere stati per quaranta giorni attaccati uno all’altro, danzando in strada come disperati, poterono finalmente tornare alle proprie case, da soli, lontani gli uni dagli altri.  Finalmente distendersi, ormai stanchi di ballare.
L’epidemia era finita.
Era il settembre del 1518.

La febbre del ballo (o epidemia del ballo) fu un caso di isteria collettiva che si verificò nel luglio del 1518 a Strasburgo. A dare il via alle danze fu una giovane donna, di nome Troffea. Dopo di lei, circa mezzo migliaio di persone iniziò a danzare forsennatamente, per più di un mese. Ad agosto la gente cominciò a morire per lo sfinimento, ma questa isteria collettiva ebbe fine solo agli inizi di settembre.

marzo 2020