Intorno a 450 milioni di anni fa, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre raggiunse picchi molto più elevati di quelli correnti, presumibilmente intorno ai 2000-3000 ppm. A questi livelli di CO2, i primi organismi che proprio allora si affacciavano sulla terraferma si trovarono a vivere in un ambiente ben diverso da quello odierno: temperature molto elevate, radiazioni ultraviolette, tempeste formidabili e fenomeni atmosferici violenti. Un ambiente che rimase a lungo ostile, al limite delle possibilità di sopravvivenza per la maggior parte delle specie, finché qualcosa di inaspettato, in un tempo relativamente breve, non fu in grado di cambiare tutto, abbattendo drasticamente la quantità di CO2 fino a livelli molto più bassi e compatibili con la vita. Cosa era successo?
Semplice, le piante, deus ex machina di questo pianeta, si erano manifestate, risolvendo, con un colpo di scena, una situazione apparentemente senza vie di uscita. In relativamente pochi milioni di anni, le neonate foreste arboree, assorbendo smisurate quantità di CO2 atmosferica e utilizzando il suo carbonio per creare sostanza organica, erano state in grado di ridurne la concentrazione di circa dieci volte, modificando sostanzialmente l’ambiente terrestre e rendendo possibile l’avvento di una diffusa vita animale terrestre. L’enorme quantità di carbonio rimossa in quel periodo dall’atmosfera venne fissata, attraverso la fotosintesi, nel corpo delle piante e degli organismi marini fotosintetici e da allora è rimasta sepolta, nelle profondità della crosta terrestre, trasformandosi in carbone e petrolio. E lì sarebbe rimasta per sempre, intoccata e innocua, se noi, come nei peggiori film horror, non fossimo andati a disturbare il sonno di questo mostro. Usando quell’antico carbonio come combustibile, infatti, l’uomo rilascia ogni giorno grandi quantità di nuova CO2 che, non potendo essere gestita dal ciclo attuale del carbonio, aumenta la quota di CO2 libera nell’atmosfera, con conseguente amplificazione dell’effetto serra, aumento delle temperature ecc. Cosa possiamo fare? Certamente ridurre le emissioni come si sente dire da tanto, da tanti. È una cosa buona e giusta, ma francamente i risultati di questa strategia negli ultimi anni sono stati impalpabili. (…)
(…) Quindi, cos’altro possiamo tentare? Mi sembra ovvio: lasciar fare di nuovo alle piante! Hanno già dimostrato in passato di essere in grado di ridurre drasticamente la quantità di CO2 nell’atmosfera, permettendo agli animali di conquistare le terre emerse. Possono farlo di nuovo, regalandoci una seconda possibilità. Per questo dovremmo coprire di piante qualunque superficie del pianeta in grado di poterle accogliere. Ma prima è necessario bloccare ogni ulteriore deforestazione. (…)
(…) La deforestazione dovrebbe essere trattata come un crimine contro l’umanità, e punita di conseguenza. Perché è di questo che realmente si tratta. L’intangibilità delle foreste e il loro mantenimento in vita, così come l’obbligo a mantenere intatti suolo, aria e acqua, dovrebbero trovare posto nelle costituzioni di tutti gli Stati, non solo in questa nostra costituzione della Nazione delle Piante. Che dalle piante dipende la nostra unica possibilità di sopravvivenza dovrebbe essere insegnato nelle scuole ai ragazzi e agli adulti in ogni altro luogo.(…)
(…) L’unica, vera emergenza mondiale. (…)
(…) Le piante possono aiutarci. Soltanto loro sono in grado di riportare la concentrazione di CO2 a livelli inoffensivi. Le nostre città (…) dovrebbero essere completamente coperte di piante. Non soltanto negli spazi deputati: parchi, giardini, viali, aiuole ecc. ma dappertutto, letteralmente: sui tetti, sulle facciate dei palazzi, lungo le strade, su terrazze, balconi, ciminiere, semafori, guardrail ecc. (…)
(…) Difendiamo le foreste e copriamo di piante le nostre città, il resto non tarderà a venire.
La Nazione delle piante di Stefano Mancuso, Laterza, pagg. 90-95.