ACACIA

di Stefano Mancuso

La cooperazione tra piante e formiche può spingersi fino a livelli di raffinatezza difficili da immaginare. Un esempio è dato dall’associazione fra questi insetti e numerose specie arboree appartenenti al genere ACACIA, native dell’Africa o dell’America latina. Alcune acacie, infatti, producono particolari corpi fruttiferi per l’alimentazione delle formiche e le forniscono di spazi, ricavati all’interno di strutture specifiche dell’albero, dove vivere e allevare le proprie larve. Ma non è finita: come in una di quelle televendite in cui l’operatore non smette mai di aggiungere prodotti per invogliare all’acquisto, così le acacie offrono, oltre a cibo e alloggio, anche bevande gratis, nella forma di graditissime produzioni di nettari extrafiorali. In cambio, le formiche si incaricano della difesa da qualunque aggressore animale o vegetale possa in qualche maniera danneggiare la pianta sulla quale sono ospitate. E lo fanno con grande efficacia. Non soltanto tengono lontano dall’albero ogni altro insetto abbia la malaugurata idea di avvicinarsi, ma attaccano con grande veemenza anche animali la cui taglia è miliardi di volte superiore alla loro. Così non è infrequente vedere formiche mordere, fino a farli desistere, erbivori delle dimensioni di un elefante o una giraffa.
La difesa attiva messa in atto dalle formiche, però, non si limita ad allontanare gli animali, qualunque sia la loro dimensione; va ben oltre. Ogni piantina che si azzardi a sbucare dal terreno in un raggio di qualche metro dalla pianta ospite è tritata senza pietà. Così non è raro, nel bel mezzo della foresta amazzonica, vedere delle piazzole perfettamente circolari prive di qualsiasi vegetazione svilupparsi intorno a un’acacia. Un fenomeno inspiegabile per le popolazioni locali, che chiamano tali aree “giardini del diavolo”. Insomma, questa fra piante e formiche sembrerebbe una splendida forma di collaborazione per entrambe le parti; a prima vista, un classico esempio di simbiosi mutualistica. Tuttavia le cose non stanno proprio in questi termini, e di recente numerosi studi stanno facendo emergere un quadro più inquietante. Sotto la facciata di un idillico rapporto di reciproco beneficio sembrerebbe nascondersi, al contrario, una turpe storia di manipolazione e inganno, che vedrebbe le acacie nell’impopolare veste di cattive.
Il nettare extrafiorale che la pianta produce, come abbiamo visto, è un liquido zuccherino molto energetico; tutti sanno che nulla attrae gli insetti più dello zucchero, quindi per anni si è creduto che questo fosse il segreto del richiamo esercitato da tali secrezioni. Tuttavia, il nettare non contiene solo zuccheri: in esso si trovano centinaia di altri composti chimici, fra i quali molti alcaloidi e amminoacidi non proteici come l’acido γ-amminobutirrico (GABA), la taurina e la γ-alanina, solo per citarne alcuni. Tali sostanze svolgono un’importante funzione di controllo sul sistema nervoso degli animali, regolandone l’eccitabilità neuronale e, quindi, il comportamento. Il GABA, ad esempio, è il principale neurotrasmettitore inibitorio sia nei vertebrati sia negli invertebrati, come appunto le formiche; così, alterazioni nella sua concentrazione dovute al consumo di nettare extrafiorale possono modificare significativamente il loro comportamento. Inoltre gli alcaloidi contenuti nel nettare – come caffeina, nicotina e molti altri – non soltanto influenzano le capacità cognitive delle formiche (così come degli altri insetti impollinatori che consumano nettare), ma inducono dipendenza.
Ciò che si è scoperto di recente è che le piante di acacia, come molte altre specie mirmecofile, sono in grado di modulare la produzione di queste sostanze all’interno del nettare extrafiorale, così da modificare i comportamenti delle formiche. Non solo: come spacciatori provetti, queste acacie prima attraggono le formiche, le adescano con il nettare dolce e ricco di alcaloidi e, una volta rese dipendenti, ne controllano i comportamenti, ad esempio aumentandone l’aggressività o la mobilità sulla pianta. Il tutto modulando la quantità e qualità delle sostanze neuroattive presenti nel nettare. Non male per degli esseri che continuiamo a percepire come indifesi e passivi, ma che, proprio perché radicati al suolo, hanno fatto della loro capacità di manipolare gli animali attraverso la chimica una vera e propria arte.

(PLANT REVOLUTION di Stefano Mancuso, Giunti editore, pagg. 118-121)