Voglio avere un dialogo più articolato con la terra.
È solo un’altra maniera per conoscermi meglio, e la mia ossessione egocentrica sostiene ne valga la pena. Un buon modo di procedere consiste nell’avere un dialogo più articolato con i grumi di terra pelosi, piumati, squamati, schiamazzanti, strepitanti, volteggianti, grugnenti, stritolanti, ansanti, svolazzanti, scoreggianti, sbrananti, dondolanti, dilanianti, incedenti, squarcianti, scattanti, giubilanti che chiamiamo animali.
Si diventa bravi a parlare a forza di parlare. Si diventa bravi a relazionarsi a forza di relazionarsi, il che richiede tempo. Bisogna anche sapere qualcosa sull’interlocutore. E così ho letto libri sulla fotosintesi e sui menhir, sullo scisto, sullo sterco e sui segnali olfattivi. Ho incollato foglie sui miei quaderni e le ho accarezzate. Ho comprato audiolibri di richiami di uccelli e mi sono reso conto, sulla metropolitana tra Paddington e Farringdon, che si può capire molto della personalità di un uccello e dei dettagli della sua vita ascoltando i suoni che produce. Senza sapere cosa fosse (dato che molti di questi audiolibri, per fortuna, non ti assillano con i nomi delle specie), in qualche modo intuivo che l’usignolo golanera danzava timoroso nell’ombra estiva di foglie decidue, in guardia dalla morte che poteva sopraggiungere dall’alto, raccoglieva insetti con il becco preciso come la migliore pinza chirurgica, arruffava le penne, si affannava e si dirigeva presto a sud.
“Panzane mistiche e pretenziose,” tuonò il mio amico Burt, un agricoltore che incontreremo nel prossimo capitolo. Però era così. E sulla metropolitana tra Farringdon e Paddington mi accorsi che questo non era affatto sorprendente; che si potrebbero intuire parecchie cose sulla storia e sulla politica della Russia ascoltando dei russi parlare di shopping e del tempo anche senza capire una parola, o forse proprio grazie a questo.
Ma più che altro ho vagabondato oziosamente. Sono rimasto seduto, nudo e tremante, in una brughiera, guardando le nuvole che si spezzavano. Ho nuotato nelle pozze scure del fiume East Lyn, dove si annidano le anguille. Ho scavato una buca nel fianco di una collina del Galles, e ci ho vissuto dentro. Mi sono sdraiato di fianco a uno stradone, oltraggiato dai fari, sentendo vibrare l’asfalto sotto di me al passaggio dei camion. E, come chiunque altro, ho attraversato un parco di domenica pomeriggio, trascinando i piedi in un inutile cappotto, per dar da mangiare alle anatre con i bambini. E pian piano ho imparato qualche parola, e ho capito che anche le mie parole venivano sentite.
Wittgenstein affermò che se un leone potesse parlare, non riusciremmo a capire una parola di quello che dice, dato che la forma del mondo di un leone è immensamente diversa da quella del nostro. Si sbagliava. So che si sbagliava.
L’animale che è in noi
Charles Foster
Bompiani 2017
traduzione di Andrea Silvestri