IO CITTÀ

di AKAB

01_IO CITTÀ

È il cervelletto che si stacca dalla corteccia.
L’asse si sposta, i poli si invertono.
E ti vedi da fuori.
Quando assediavano una città nel Medioevo creavano un cordone tutto intorno di gente impiccata.
Le teste cominciavano a disquisire del tempo per 23 minuti.
Poi piove.
Mi vedo vomitare nella vasca di Cicci.
Vomito e intanto pulisco.
Pulisco e vomito.
Le mandragole crescono ai piedi degli impiccati in erezione.
Parlano del tempo.
Quale nome?
Parlano del tempo e sborrano.
Come sentinelle morte.
Non capisco.
Non capisco chi sono.
Mi vedo sempre più distante.
Sempre più piccolo.
Vedo dentro i tetti.
Le bugie dei negozi.
Le strade naziste.
Tutto di vetro.
Tutto trasparente.
Animali di lamiera.
Una canzone per l’estate.
Tu puoi parlare?
Puoi parlare?
Puoi?
Ora riesco a vedere la città intera, ma non è di vetro, è di fango.
Fango plasmabile come fango.
Fango come Adamo prima di essere uomo.
Vedo la città per quello che è.
Materia.
Materia in continua mutazione.
Siamo noi che la plasmiamo.
Ma è lei che lo vuole.
Noi serviamo alla città per potersi espandere.
Per poter coprire tutto.
Tu puoi parlare?
Dentro tutto accade nello stesso istante.
Mille corpi.
Un unico corpo.
È tutto fango.
Fango di acqua e terra.
Cerco di ricordare chi sono.
Ho dei genitori?
Ne ho moltissimi?
Non ne ho nessuno?
I bambini accompagnati dai genitori tirano pietre in faccia agli impiccati esposti.
Sono loro i miei genitori?
Da dove sono ora vedo passare centinaia di navi aliene.
Respirano male e credono in Dio.
Sono qua per sterminarci.
Sono qua per ricrearci.
Ora lo so.
Ma non mi cambia molto.
Alcune persone in questo momento stanno ricordando un momento felice.
È stata la ketamina?
Puoi parlare?
Chi sei?
La città si nutre di noi. Ci usa.
Siamo come quegli insetti che vivono sulla superficie degli occhi.
Sono come radiografie di millepiedi.
Si muovono veloci.
Tutti diversi.
Parassiti.
Se guardi il sole li vedi.
Grigi.
È stata la droga?
Muovo le mani nell’aria e sento materia.
Con le dita sento di titillare il clitoride di Dio.
Vuoi parlare?
Quando superi anche Dio non rimane che ridere.
Ma è una risata nuova.
Mai sentita.
Mai provata.
È una risata che non ha dolore dentro.
Né nevrosi.
Né, tanto meno, senso.
Quelli che stavano per morire e poi sono tornati raccontano tutti la stessa cosa.
Il tunnel.
La luce.
La morfina.
La coscienza.
La conoscenza.
La scienza.
La droga?
Quanti anni ho?
Da quanti anni?
Da qui posso vedere le strade obbligate che hanno deciso per noi.
La città ci ha costruito e si gode ogni singolo secondo di ogni storia.
Il suo teatro di marionette.
Stendo il bianco sul nero a coprire.
A togliere.
Sono io la città.
Ogni suo marciapiede.
Ogni sua finestra.
Il distributore dell’acqua.
L’orario di apertura.
Il sudore nel pane.
La vergogna di essere solo umani.
Apro gli occhi.
Due poliziotti e un infermiere mi chiedono:
Chi sei?
Come ti chiami?
Hai dei genitori?
È stata la ketamina?
Puoi parlare?
Puoi?
Puoi?

Immagini dalle linee sfuggenti e i colori grumosi si accompagnano a 23 flussi,
o meglio, fiotti di coscienza, in cui vari personaggi si tolgono la maschera della decenza
per svelare quanto nascondono in sé di torbido, scandaloso, violento ma, in definitiva, umano, sincero.

Racconto tratto da:

COME UN PICCOLO OLOCAUSTO
di AkaB
brossura con ali, 160 pagine, 165x230 mm
#logosedizioni
ISBN: 9788857604473