foto © Michele Lapini - michelelapini.net

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Se siete mai stati in via Indipendenza a Bologna, forse avrete notato delle bacheche per le affissioni insolite nel contenuto. Sono tutte firmate CHEAP. Chi è CHEAP? Mi sono chiesta tanti anni fa prima di conoscerle. Cosa fa CHEAP? Mi chiedo ogni tanto quando la sera guardo sulla loro pagina facebook i nuovi interventi. È un gruppo di sei donne: Antonella Ciccarelli, Sara Manfredi, Sonia Piedad Marinangeli, Elisa Placucci, Flavia Tommasini, Elisa Visentini. Per voi ho intervistato Sara, di cui riporto il discorso qui sotto:

“Ci siamo incontrate a Bologna. Ci conoscevamo, ci frequentavamo, eravamo impegnate in altre cose e abbiamo iniziato a parlare di questa cosa. Molte di noi vengono da percorsi di autogestione e c’è anche un duo artistico (TO/LET di Sonia ed Elisa P.) che ha esperienze di street art assolutamente precedenti e indipendenti rispetto a CHEAP. Insieme abbiamo avuto il desiderio di indagare una forma dell’arte urbana o della street art (chiamatela come volete, io ho smesso di chiamarla), quella del paste-up: utilizzo di carta e colla. Un supporto molto fragile e assolutamente temporaneo che un po’ definisce e indirizza anche la scelta del nostro nome e della nostra identità: CHEAP, qualcosa di poco valore. Abbiamo scelto un nome antieroico proprio perché è il tipo di atteggiamento che abbiamo noi, un atteggiamento di tipo antimonumentale e quindi la carta che si scioglie, qualcosa che viene consumato, che è temporaneo, e soprattutto qualcosa che in nessun modo resisterà al tempo, alla pioggia, a qualcuno che la strappa per strada.
Abbiamo voluto CHEAP come strumento per conoscere la città e testarla, per andare anche a infastidirla e provocarla. Per lavorare in un quartiere che non abiti, e lavorare alla contestualizzazione di opere all’interno di un ambiente sociale architettonico e urbano devi studiare e capire dove sei, che cos’è il Pilastro o la Bolognina, devi in qualche modo metterti in gioco e rapportarti con gli spazi in cui intervieni e quindi per noi è stato anche uno strumento per conoscere la città.
Il primo anno abbiamo fatto un intervento con una delle guest artist MP5 su viale Masini. Abbiamo visto queste bacheche pazzesche, 150 metri lineari  di muro con 43 bacheche enormi, e abbiamo iniziato la caccia all’ufficio giusto a cui rivolgerci per avere il permesso di utilizzarle. Ci sono voluti dei mesi. Una volta realizzato il primo intervento, abbiamo parlato con una persona che mi manca molto a Bologna: Alberto Ronchi, allora Assessore alla Cultura a cui riconosco la capacità di avere una grandissima visione dei progetti, della città e della cultura, e lui ci ha proposto una convenzione per la quale noi ci impegnavamo a mappare tutte le bacheche del centro, sistemarle e utilizzarle come spazi affissivi. Noi l’abbiamo fatto, e in tre anni abbiamo realizzato un centinaio di interventi. Così la convenzione è stata rinnovata e adesso è diventata un patto di collaborazione con il settore cultura del Comune di Bologna.
CHEAP ha esordito nel 2013 con la forma di un Festival di Street Poster Art che lavora sul paesaggio urbano su una doppia traccia. Da una parte una call for artists tematica, lanciata con mesi di anticipo sulle date del festival che tutti gli anni è a maggio, e a cui possono partecipare non solo street artist, ma anche chiunque si occupi di arte visiva come illustratori, fotografi, ecc., i quali devono mandare il loro lavoro in un formato poster che noi, attraverso una selezione, stampiamo e affiggiamo nel centro di Bologna all’interno del circuito di bacheche che da anni gestiamo. Dall’altra, una serie di cinque lavori site-specific affidati a degli artisti internazionali selezionati dal Festival che realizzano un wall, anche di grandi dimensioni, in diversi quartieri della città. Questa formula si è ripetuta per cinque anni, quindi cinque edizioni del Festival. Dopodiché abbiamo messo fortemente in discussione la forma del festival. Abbiamo messo in discussione il formato ma anche la quantità di festival che si occupano di street art o che hanno a che fare con essa. Abbiamo messo molto in discussione l’atteggiamento funzionale che da parte di molti c’è nei confronti dell’arte urbana, che consiste nel dare luogo a delle fantomatiche rigenerazioni mettendola in conflitto e in contrasto con quello che da più voci viene considerato degrado. E abbiamo deciso quindi che il formato del festival non ci interessa più. Che rispetto all’utilizzo che si  fa degli interventi di street art urbana vogliamo fare un passo indietro perché siamo in forte disaccordo con quella che è la tendenza nazionale, ma anche con quella che è la tendenza locale a Bologna. Abbiamo fatto un harakiri del festival e ci siamo sottratte all’idea di dover per forza confezionare dieci gg di street art all’anno a Bologna, e interverremo solo se lo riterremo opportuno senza annunciare progetti, senza seguire un calendario, lavorando solo con gli artisti con cui desideriamo fortemente lavorare e riservandoci il diritto di esserci, tornare, scomparire e ricomparire a seconda di quello che il collettivo deciderà.
Abbiamo mantenuto la call for artists che continua a esserci una volta all’anno e manteniamo un progetto che negli anni abbiamo sviluppato come side project del festival che si chiama CHEAP ON BOARD, ovvero tre tipi di interventi, sempre con la carta, sempre in formato poster: il primo di arte visiva pura; il secondo di comunicazione sociale a supporto di lotte tematiche che sentiamo vicine, che condividiamo e che sviluppiamo anche con altri partner come associazioni non governative, creativi ecc; e il terzo che è la promozione di eventi legati al contemporaneo come festival, manifestazioni ecc. che decidono di lavorare con noi su un immaginario visivo legato al nostro progetto.”

Perché? Ho chiesto. Io ho collaborato con loro e mi ha sorpreso la professionalità e la precisione con cui hanno lavorato e rispettato i tempi. Mi ha sorpreso anche l’onestà con cui si sono da subito rapportate con me. Mi hanno ricordato quelle signore che un tempo popolavano gli stand della Festa dell’Unità. Quelle signore che andavano a fare la spesa in bicicletta e tornavano a casa con una grossa borsa su ogni lato del manubrio. Con il fazzoletto in testa e il paltò d’inverno. Sono anche stata a guardarle la notte mentre affiggevano i poster sulle bacheche di via Indipendenza, di notte perché c’è meno passaggio di gente, ma ci sono i senzacasa con cui interagire. Le ho sentite chiacchierare e ridere mentre spazzolavano la colla sulle bacheche, stanche, dopo una lunga giornata di lavoro, perché ognuna di loro ha un lavoro. Perché lo fate?
“Lo facciamo perché ci piace, la gente che non ha passione io faccio anche fatica a capirla. A noi questa cosa piace. Ci piace lavorare in un contesto urbano, nello spazio pubblico. Ci piace valorizzare progetti. Ci piace sviluppare progetti. Ci piace incontrare artisti, grafici, gente che fa questa cosa da vent’anni, o che ha iniziato sei mesi fa. Per noi è fonte di gioia, per cui lo facciamo, anche se è innegabilmente faticoso.”

Se questo è un uomo,
di Primo Levi, Einaudi