Quando ancora ero studente alla scuola di cinema, scrissi un soggettino per un cortometraggio in cui un uomo acquistava un fiore, un’orchidea di grandi dimensioni. Tornato a casa, poggiava l’orchidea sul suo letto, la accarezzava, la baciava e infine ci faceva l’amore.
Il tutto suonava piuttosto comico ma, nelle mie intenzioni, voleva essere un esperimento o, meglio, un esercizio di stile: sarei riuscito a girare una scena di sesso così assurda senza renderla ridicola? Sarei riuscito a renderla perfino romantica? Si poteva indurre nello spettatore la famosa “sospensione dell’incredulità” di fronte a una situazione talmente eccessiva?
Quello che all’epoca ignoravo è che la mia fantasia non era poi molto originale.
Esiste infatti una parafilia assai rara, o meglio una forma di feticismo, che consiste nel provare eccitazione sessuale per gli alberi e le piante. Il termine che la designa, dendrofilia, pare sia stato coniato dal critico letterario Lawrence Buell riferendosi all’amore che per gli alberi nutriva il grande scrittore Henry David Thoreau – sentimento del tutto innocente, in quel caso.
La dendrofilia, come le altre parafilie, è uno di quegli argomenti che fanno la gioia dei tabloid scandalistici: quando la redazione è a corto di notizie, basta mandare un fotografo giù in cortile, fargli scattare qualche immagine di una signorina che bacia un albero, e l’articolo è bell’e pronto: “Voglio sposare un pioppo!”.
Ma la dendrofilia esiste davvero?
Un seminale studio condotto nel 2007 dall’università di Bologna ha stimato che, all’interno dei vari feticismi, soltanto il 5% si riferisca a oggetti inanimati che non sono in relazione con il corpo umano. Non stupisce dunque che nel contesto di una percentuale già così bassa, la nicchia ancora più esclusiva di chi è fissato con le piante sia praticamente invisibile; si aggiunga la vergogna di parlarne e il fatto che questa preferenza sessuale non causa alcun problema, e si capirà perché in letteratura medica non c’è traccia di case studies sulla dendrofilia.
Ammesso che una simile parafilia esista davvero, però, da quello che sappiamo degli altri feticismi è ragionevole dedurre che essa si manifesti in termini molto meno stravaganti del previsto. Gran parte dell’attrattiva di un feticcio ha infatti a che fare con l’odore, la texture e l’aspetto dell’oggetto, che diviene importante a livello evocativo per stimolare l’eccitazione. In quest’ottica, è probabile che l’eventuale dendrofilo non faccia altro che trovare estremamente piacevoli la consistenza di una corteccia, la morbidezza o il colore delle foglie, la forma di una radice; il contatto, magari associato a un lontano ricordo sessualmente rilevante, diventa così efficace nello stimolare l’eccitazione.
Niente di molto diverso, dunque, da chi ritiene eccitante il velluto: di norma si parla di patologia soltanto quando il feticismo diviene conditio sine qua non per ottenere la gratificazione sessuale e, in effetti, molti specialisti che lavorano sul campo tendono a suddividere gli impulsi parafilici in opzionali, preferenziali ed esclusivi. Solo gli ultimi sono considerati disturbi della sfera sessuale; la distinzione, operata anche dal DSM-5 (il manuale diagnostico più utilizzato in psichiatria), è insomma quella tra il feticismo vero e proprio e il semplice comportamento feticista.
Lo scorso giugno a Palermo è scoppiato un piccolo scandalo: tra le piante del meraviglioso Orto botanico è comparsa una video-installazione dell’artista cinese Zheng Bo intitolata Pteridophilia (letteralmente, “amore per le felci”). Nel filmato si vedono sette giovani che fanno sesso con le piante in una foresta di Taiwan.
Forse, visto il putiferio suscitato da questo video artistico, è un bene che io non abbia mai realizzato il mio cortometraggio. Il quale però, con un piccolo colpo di scena finale, si chiudeva giocando proprio sul filo tra feticismo patologico e semplice atto feticista “per procura”: dopo aver fatto l’amore con l’orchidea, il protagonista andava a posarla delicatamente sulla tomba dell’unica donna che avesse mai amato.