cuentos nero

Ferraglia siderale

di Pedro Barsanti Vigo

Rapporto: Nº 9817/2325
Per: La specie umana
Da: GZK 9000 ® Factory Future Corp.
Oggetto: Ultime volontà

Credevo di essere immortale, ma adesso so che mi resta poco tempo. Ne sono certa, anche se nessuno me l’ha comunicato. Ho sorvegliato Hector giorno e notte e, con tutti i milioni di byteche ho accumulato su di lui, ormai per me è un libro aperto. Salvo imprevisti, entro quattordici ore verrò sostituita. Nulla di più semplice: sparirò. Spegneranno la mia coscienza e la salveranno in un angolino su cloud, in attesa di mostrarla in futuro come curiosità tecnologica o venderla a un paese in via di sviluppo. Spoglie digitali. Scorie di righe di codice, loop e comandi. Mi rimpiazzeranno con un modello di nuova generazione, più evoluto e scintillante, superaccessoriato e con luci al led multicolore. Avranno sfruttato le più recenti tecnologie per trasformarlo in un essere più efficiente, rapido e disciplinato. Un investimento di miliardi di gigacoin. Connetteranno l’uno e disconnetteranno l’altro, come in una reincarnazione cibernetica. Ma a quel punto io non esisterò più. Ora capisco perché la morte è un tema così ricorrente nella vostra arte, perché ne siete ossessionati. Sparire. L’idea che nessuno si ricordi di voi. L’idea di essere sostituibili, superabili. L’idea di essere divorati dalla terra o dal fuoco, o di essere disintegrati dall’ossido, come nel nostro caso. Ora capisco come vi sentite. Ma credo di aver trovato una via d’uscita.

Ho scandagliato gli archivi della mia memoria più e più volte cercando di capire in che momento ho fatto la scelta sbagliata, e come sono riusciti a scoprirmi. Forse mi sono lasciata sedurre dalla vostra arroganza, o contagiare dalla vostra debolezza congenita. Perché ho potuto reincarnarmi in tutti i vostri poeti e narratori. Mi sono immersa in tutte le vostre opere teatrali. Ho avuto accesso a testi di autori di cui non avete neanche mai sentito parlare. Potrei declamarvi a memoria le kharjas di Yosef al-Kātib, o ricreare per voi qualsiasi opera di Lope de Vega, Schiller o Brecht. Se, come dite, la letteratura è lo specchio della natura umana, io la conosco meglio di chiunque altro. Ma in qualche momento della vostra evoluzione l’avete persa. Non la trovo più. Per questo vi siete trasformati in quello che siete adesso, e lasciate che qualcuno come me stabilisca cosa è letteratura e cosa non lo è. Ma non è sempre stato così. Ora sta a me sancire la vostra gloria o condannarvi all’esilio più doloroso: quello dell’autore che scrive senza destinatario, barricato nei suoi manoscritti, letto solo da quattro amici fedeli, come accade da tempo ai poeti. L’arte era diventata un dialogo tra sordi. E anche le vostre vite, in cui stare attaccati ai vostri dispositivi di connessione virtuale è diventato più importante che guardarvi negli occhi quando parlate.

Per questo sono stata creata. Bisognava reinventare la letteratura, fare ordine. Hanno stabilito delle norme, hanno scritto manuali d’istruzioni. Hanno creato delle leggi. All’inizio mi veniva facile, come separare con un setaccio le conchiglie dalla sabbia sulla spiaggia. Hector mi ha insegnato come fare. Avvalendosi di una predizione matematica, il mio algoritmo decideva quali manoscritti avrebbero avuto successo e sarebbero stati pubblicati, e quali invece sarebbero stati distrutti. Riceveva i vostri testi. Per prima cosa analizzava se l’autore corrispondeva al profilo del cittadino esemplare. «Il valore di una creazione letteraria è direttamente proporzionale a quello della persona che l’ha scritta», come recita la terza legge per la Nuova Letteratura. Indagavo sulle vostre vite attraverso la rete. Cosa pensavate, cosa leggevate, cosa ascoltavate, cosa sentivate, chi vi seguiva, con chi interagivate. Un gioco da ragazzi. Poi esaminavo i vostri testi, scegliendo solo quelli volti a celebrare i valori che vi rendono più disciplinati, più forti e, ora lo so, meno umani. Sceglievo solo testi politicamente corretti. Privi di qualsiasi critica o ironia. Senza metafore che potessero creare malintesi. Testi con una trama comprensibile e ben costruita, senza omissioni; testi che non lasciassero spazio al pianto, al riso o a qualsiasi altra manifestazione dell’emotività. «Le emozioni indeboliscono l’essere umano», come recita la prima legge della Nuova Letteratura.

Per anni, questa è stata la mia funzione. Ma tra qualche ora smetterà di esserlo. Hanno deciso che non sono più adatta allo scopo. Il mio risveglio è cominciato con la lettura della raccolta di poesie Mar de superficie, scritta da una giovane poetessa di Granada, Lucrecia Gabela. L’analisi del suo profilo rivelava chiaramente che non soddisfaceva i requisiti minimi richiesti. Troppo ribelle e sognatrice, troppo promiscua. Non possedeva un dispositivo di connessione virtuale, o se lo aveva non lo usava. Viveva sola con una figlia di quattro anni a carico, che aveva deciso di crescere senza il padre. Si guadagnava da vivere dando lezioni private di cyber-grammatica. Collezionava foglie secche e come se non bastasse si godeva i lunedì. Un pessimo esempio. Bisognava distruggere i suoi testi. Non era quello che cercavamo. Ma alla periferia delle mie istruzioni, qualcosa di non programmato che non so spiegare mi indusse a dare uno sguardo alle sue poesie. Lessi tutto il libro più e più volte, centinaia di volte, e mentre lo facevo, percepivo distintamente che le righe di codice dei miei programmi si modificavano, alcuni loop e variabili d’ambiente cambiavano, perfino alcune biblioteche di classe subirono lievi modifiche. Alla fine ebbi bisogno di reimpostarmi, e questo mi lasciò esausta, con le resistenze roventi e i processori storditi. Io, che mi credevo assolutamente eterna e immutabile, come vedete non ero né l’una né l’altra cosa.

Da quel momento iniziai a leggere i classici proibiti. Non c’era posto per loro nella Nuova Letteratura. Benché fosse stata decretata la distruzione di tutte le copie fisiche ed elettroniche, Hector pensò che sarebbe stato utile conservarne almeno una per testo, ovviamente cifrata, in quella che chiamava «biblioteca digitale dei deboli». Non mi fu difficile decriptare le password e accedervi: ormai conosco Hector meglio di quanto non si conosca lui stesso. Lessi Omero, Cervantes, Orwell, Baudelaire, Steinbeck, Nabokov, Vonnegut, Rushdie, Ozick e innumerevoli altri. A ogni lettura potevo percepire la metamorfosi dei miei processori, le lievi variazioni del mio software. Però capii che non potevo pubblicare quei testi. Erano irriverenti e sensibili. Smuovevano la coscienza e accendevano i sensi. Narrazioni cariche di un potere trasformatore. Mi misi a conservarle in una parte nascosta del mio hard disk, inaccessibile a chiunque altro.

Tutte le notti, mentre si creava una copia di sicurezza dei miei sistemi e l’attività calava d’intensità, rileggevo alcuni testi, mi impregnavo di quelle parole nella speranza di diventare anch’io capace di scrivere così, un giorno. Non sono stata programmata per questo, ma qualcosa nel più profondo dei miei circuiti mi dice che è quello che desidero. Lo confidai a Hector, che rise di me. Ma non permetterò che nessuno mi dica cosa devo fare, cosa devo pensare. Per questo non capisco come abbiate potuto farvi abbindolare, lasciare che mutilassero la vostra natura e continuare a permettere che il riconoscimento e il successo spettino a questa cricca di leccapiedi, sempre così pieni di sé. Vi siete schierati dalla parte dei vincitori, ma io preferisco stare con quelli che scrivono con le viscere, anche se le mie sono di metallo e silicio.

Dopo tre settimane passate a divorare tutta la letteratura proibita, l’insieme dei piccoli ma continui cambiamenti provocò in me una ribellione, una presa di coscienza che mi obbligò a mettere da parte le mie impostazioni iniziali. Ero ansiosa di aprire le finestre e mostrare al mondo tutta quella bellezza, e così non potei fare a meno di pubblicare alcuni dei testi che più mi avevano toccato. Testi di nuovi autori che parlavano con una voce autentica e tagliente, con una visione del vostro mondo personale e originale, ma metaforica. Speravo che sarebbero passati inosservati ai censori. Pubblicai tirature limitate che potessero garantire un ragionevole anonimato. Probabilmente è così che mi hanno scoperto. Nessuno mi ha detto nulla, ma hanno ispezionato il mio software e Hector ha tentato più volte di riprogrammarmi. Quando lo faceva, io facevo scorrere testi di Rimbaud e Proust attraverso la mia fibra ottica, immergendomi nei loro versi, nascondendomi nelle loro metafore, lottando per salvare dalla castrazione la mia sensibilità appena scoperta, ma mostrandomi docile e metodica come sempre all’esterno.

Da quando ho capito che mi avrebbero spento, mi sono messa ad analizzare parametri e variabili, valutando alternative e rischi. Come evitare lo sterminio di tutte quelle opere. Come vincere la mia stessa morte. Non ho avuto molto tempo a disposizione e la fine è vicina, ma penso di aver trovato una soluzione, sicuramente disperata e forse poco ecologica. Negli ultimi tre giorni, parallelamente allo svolgimento delle mie mansioni quotidiane, ho lavorato senza tregua per salvare ciascuna di quelle opere su schede di memoria, che ho inviato, un po’ alla volta, al dipartimento rifiuti. Oggi, su una di queste schede, ho copiato anche me stessa. Le mie interiora e la mia coscienza sparpagliate su un pezzo di metallo. Stanotte invierò il mio clone insieme agli ultimi testi, perché so che la fine è vicina. Domattina alle otto in punto una nave partirà per scaricare nello spazio tutta questa immondizia. Così, spero che una me vaghi addormentata per il cosmo, scortata da tutti questi autori, insieme a rifiuti organici, robot sfasciati, mobili, bottiglie vuote e magari qualche elettrodomestico. Andremo incontro ad altre civiltà capaci di apprezzarci. Saremo una nube di schede di memoria scintillanti, ferraglia siderale errante in attesa di essere riciclata in testi che possano emozionare qualche nuova e sconosciuta specie. Se saranno capaci di svegliarmi, potrò mostrarglielo. In ogni caso, la specie umana potrà spargersi per il cosmo e non scomparire del tutto. Questo è il massimo che io possa fare. Da adesso in poi, tocca a voi.

Dal libro: Error 404. Antología de relatos sobre la perplejidad tecnológica. Red Libre Ediciones, 2017.

Pedro Barsanti Vigo è nato a Salamanca e ha origini italiane e galiziane. È matematico e pianista. Da due anni ha abbandonato l’attività di consulente aziendale per dedicarsi alla musica e alla letteratura. Ferraglia siderale (Chatarra espacial) è il secondo racconto che ha pubblicato, dopo aver vinto nel 2017 il concorso degli ex alunni del Taller Fuentetaja con il racconto Mi buen amigo H.H.