In quella settimana sull’isola raccontai la verità a Katherine Huntington, un’amica di famiglia e vicina di casa: mio padre aveva fatto sesso con me. Le raccontai quello che era successo quando ero piccola. Non ebbi il coraggio di parlarle della notte appena trascorsa, però mi confidai sulla mia infanzia. Non ero l’unica a considerarla una donna formidabile. Era l’opposto di mia madre: straordinariamente capace, affettuosa, indipendente. Tutti la adoravamo, io la ammiravo molto, da grande volevo diventare come lei. Quando ero piccola mi faceva sentire speciale. Chiedeva la mia opinione sulle cose, si accovacciava per ascoltarmi. Quando ero adolescente, mi diceva che ero intelligente e coraggiosa.
L’avevo sempre considerata bellissima, forte e audace. Le piaceva andare in barca a vela in solitaria. Sapeva leggere, scrivere e parlare in cinese mandarino. Con il secondo marito aveva girato l’Africa in macchina per un anno. Faceva la volontaria presso i vigili del fuoco della piccola comunità sulla spiaggia. Gli unici momenti in cui non portava i tacchi erano quelli in cui guidava il camion dei pompieri. Preparava da sola cene per decine di persone, aveva sempre moltissimi ospiti. Dietro il corpo principale della casa aveva una serra in cui coltivava gardenie e frangipani. Una volta aveva trovato un cucciolo di lince rossa vicino alla porta della serra. Gli aveva dato una ciotola di latte, sperando che si riunisse alla madre. Ma un altro vicino le aveva detto di aver visto una lince morta sulla strada, vicino al mercato. Katherine aveva adottato il cucciolo, donandogli lo stesso amore materno che aveva dedicato ai suoi figli. Per cena gli dava carne d’agnello, seguita da un piattino di panna montata.
I miei nonni erano stati molto intimi dei suoi genitori. Io ero molto legata a due dei suoi figli, a una sua nipote e a un nipote. Con la sua famiglia mi sentivo felice. Avrei voluto che adottasse anche me.
Quella settimana, quando ero al mare con mio padre e mio fratello, Katherine e suo marito mi invitarono a cena. Chiesi a Katherine se potevamo parlare in privato. Ma certo, rispose lei, e mi portò di sopra, nella sua camera. Ci sedemmo sul suo grande letto bianco, ricoperto di cuscini dalle morbide federe di lino. Stringendomi uno di quei cuscini al petto, le raccontai che mio padre mi aveva violentato quando ero molto piccola. Le dissi che mi sembrava di impazzire, che non sapevo cosa fare. Lei si chinò verso di me e pensai che volesse abbracciarmi, invece mi appoggiò una mano sulla bocca. “Non pensarci” disse. “Non parlarne. Dimentica e non pensarci più.” Poi mi raccontò di essere stata molestata, da bambina. Disse che i suoi genitori lo sapevano, e non avevano fatto niente. “Ma queste cose bisogna dimenticarle, non bisogna pensarci.” Mi disse di andare a casa da mio padre e di non parlarne mai più. Non fu più la stessa con me. Non mi trattò più da amica, mi evitò per il resto della vacanza.
Anonima, Il segreto di famiglia, Guanda, 2017