La mia amica Ruth

di Anna Masucci

La mia migliore amica si chiama Ruth, Ruth Patterson. È anche la mia unica amica, a volerla dire tutta. La conosco da sempre e non è un modo di dire. Ho conosciuto Ruth in un momento molto difficile, era appena morto suo figlio. Scotty aveva soltanto tre anni. Erano insieme al parco, un venerdì pomeriggio, si è girata un attimo per vedere se fosse arrivato il carretto dei gelati e Scotty è caduto dall’altalena. Ha sbattuto la testa ed è morto sul colpo. Una tragedia. A Ruth piaccio perché non sono come le altre amiche, io non le dico “È dura ma con il tempo andrà meglio”. Detesta la preside Palmer proprio per questo. Che assurdità! Un dolore così non passa mai, il tempo non lo lenisce. Un dolore così il tempo lo ferma per sempre. Io le dico “Piangi, hai tutte le ragioni per farlo”. E questo non consola Ruth ma la tranquillizza, come quando leggi un bel libro, uno di quelli veri, non gli insopportabili ricettari consolatori che si trovano adesso sugli scaffali, un libro di quelli che ti raccontano le cose come stanno, un libro che ti capisce. Essere compresa è una delle sensazioni più rasserenanti che io conosca, me l’ha insegnato Ruth. Non mi ha insegnato soltanto questo. In realtà ho imparato tutto da lei, prima di lei non esistevo.
Io non so come fosse Ruth prima di perdere Scotty, ma da quello che mi dice deduco che fosse molto diversa. Un tempo sognava di diventare una cantante, mi ha detto una volta, ma davanti al feroce dissenso di sua madre si è arresa ed è diventata un’insegnante di sostegno. Ha continuato a cantare a casa, in macchina, per il suo bambino. Poi quel venerdì pomeriggio ha smesso. È proprio lì che l’ho conosciuta, vicino all’altalena. C’ero durante l’inutile corsa all’ospedale, c’ero al funerale, c’ero quando non si alzava più dal letto, c’ero quando il marito ha fatto le valigie e se n’è andato. Le sono stata accanto sempre, senza giudicarla, senza condizionarla, accarezzando silenziosamente l’inevitabile banalità del suo dolore. Per questo Ruth mi vuole bene, per questo ha detto che non mi dimenticherà mai.
C’ero anche quel giorno in cui Karen, la preside Palmer, l’ha convocata a scuola. “Ruth, sono desolata per quello che ti è capitato ma se non torni al lavoro sarò costretta a chiederti di dare le dimissioni, è passato quasi un anno e la tua aspettativa è finita da mesi.” “Certo” ha risposto Ruth con lo sguardo basso. “È appena arrivato un nuovo bambino, Max. È silenzioso ma molto intelligente, dice la maestra Gosk, credo che possiate sostenervi a vicenda, vorrei fartelo conoscere.” Ruth non ha nemmeno alzato la testa quando Max è entrato nella stanza. “Ruth, dai, salutalo, è un bambino” le ho sussurrato all’orecchio.
Non avessi mai pronunciato quelle parole. Da quel momento è cambiato tutto, un’altra volta.
Ruth si è innamorata di Max, in lui ha rivisto Scotty, la seconda e ultima possibilità di riavere la vita che aveva perso, sé stessa, l’incomprensione condivisa di un mondo che vive di pura esteriorità.
Ha ripreso a cantare in macchina, in cucina mentre preparava la colazione o lavava i piatti, sotto la doccia. Ha ricominciato a cucinare, a pulire e a mettere in ordine la casa. Ha ridipinto la facciata di azzurro, spazzato via tutte le foglie dal vialetto, comprato dei fiori freschi. Non ha saltato un giorno di scuola, tranne il venerdì, quando diceva che aveva delle visite mediche e invece passava tutto il giorno al parco, a guardare i bimbi salire sull’altalena. “Ruth, sono felice che tu ti senta meglio.” “È merito di Max, il bambino più gentile e intelligente che conosco. Non lascerò che me lo portino via un’altra volta.” All’inizio non ho capito cosa volesse dire, Ruth non si confidava più con me e io non riuscivo più a leggerle nel pensiero. Vivevo nel timore che la nostra amicizia fosse finita, che io fossi finita. Tutto a causa di quel bambino strambo che amava la carta quadrettata, che non sorrideva mai, che odiava scegliere. Sapevo ogni cosa di lui, Ruth parlava di Max in continuazione.
Quando Ruth ha allestito nello scantinato una cameretta con una porta segreta, riempiendola di tutto quello che Max potesse desiderare, ho compreso le sue intenzioni. Iniziavo a sentirmi debole, le mie sopracciglia erano sparite, Ruth mi rivolgeva a malapena la parola. Non ho provato a farle cambiare idea, avevo paura che l’avrei allontanata più in fretta. Le ho fatto soltanto una domanda. “Non credi che i suoi genitori soffriranno?” Non mi ha nemmeno guardato, non ha risposto, forse non mi ha sentita, la mia voce era diventata flebile e atona. Ha ripreso a canticchiare, mentre sistemava in cucina decine di confezioni di riso e pollo, il cibo preferito di Max.
Oggi è venerdì e Ruth non è andata al parco a vedere i bambini che giocano. Sta andando a scuola, a prendere il suo Max. Lo so perché io sono seduta accanto a lei eppure non mi sente e non mi vede più, sto scomparendo. Spero che qualcuno salvi Max, so che anche lui ha un amico immaginario, dovrebbe chiamarsi Budo. E spero che qualcuno salvi Ruth, Ruth Patterson, la mia migliore amica.