In casa la mamma decideva con la cuoca il cosa mangiamo oggi. La mia mamma a noi quattro figli ci ha abituato che una volta alla settimana ognuno di noi cucinava, ci dava i soldi, venti, trentamila lire e noi facevamo la spesa e facevamo da mangiare. Quando avevo bisogno di soldi quel giorno lì tutti mangiavano scatolette e tutti erano incazzati neri. Ma con te si mangiano solo scatolette? e io rispondevo Ringraziate, che se andiamo avanti così arriva quella volta che non c’è niente da mangiare. La mamma mi ha dato i soldi ma voi non mangiate. Che me frega!
Tutti in casa cuciniamo, appassionati. Dovevamo chiedere autorizzazione alla mamma perché la stipendiata, la cuoca, che si chiamava Erminia Berretini di Collodi, la dovevi vedere... una fuoriclasse!, non mollava la cucina, non ci lasciava cucinare. Erminia fatti da parte! le dicevamo. Per togliercela dai coglioni, come si suol dire, telefonavamo all’auto nolo, che era ormai di famiglia, in casa nessuno guidava e non avevamo la macchina, e la venivano a prendere e dalla campagna in periferia dove vivevamo la portavano in centro a Bologna, al cinema. Erminia fra mezz’ora viene la macchina che ti porta al cinema! le dicevamo. Loro la venivano a prendere e poi finito il film l’andavano a riprendere e ce la riportavano. Intanto noi avevamo fatto un po’ di creazione.
A cucinare ci ha insegnato la mamma, s’intende, anche l’Erminia, la nonna, tutti. Quando a Natale facevamo i tortellini erano sette donne intorno a un tagliere. Nella mia famiglia i tortellini si mangiavano solo il 25 a pranzo fino al 6 gennaio sera, per l’Epifania, il resto dell’anno no, perché il tortellino era della festa, la festa più grande che ci sia! Adesso mangiamo i tortellini tutte le domeniche, perché siamo degli arricchiti, non c’è più la festa, non c’è più l’interesse di festeggiare clamorosamente.
Il babbo era figlio di un barbiere, a quattordici anni era professore di pianoforte, era un ragazzo prodigio, e faceva i concerti in giro per l’Europa, lì ha imparato le lingue, e poi ha finito la carriera in America, faceva il tour con il Metropolitan, era direttore d’orchestra. Mio padre ha avuto la fortuna di dirigere la Callas, Placido Domingo, i nomi più importanti.
Io andavo malissimo a scuola, ho perso cinque anni, poi però ho preso due maturità, una scientifica e una classica, perché mi piaceva il greco e le materie erano diverse. Andavo sempre in libreria, avevo il conto aperto che pagava la mamma, e mi piaceva leggere tutto. Tutto Kant ad esempio. Professore dicevo non sapevo cosa fare e allora mi sono letto Kant, e così con Kierkegaard, o un altro.
Ho preso la patente a ventiquattro, venticinque anni, in casa nessuno guidava, nessuno aveva la macchina, allora mi hanno obbligato a prendere la patente, ma per me era più divertente la bicicletta. La mia era una bicicletta bellissima, importantissima, fatta da un artigiano che era stato il meccanico di Fausto Coppi, e per noi Fausto Coppi è il massimo! Convinsi la mamma a darmi i soldi per la bicicletta come regalo per l’Epifania, i grandi regali erano per l’Epifania, come il ping pong oppure un’altra volta un palcoscenico in cantina per fare il teatro. Sono andato da questo artigiano bolognese, che ho conosciuto perché ero appassionato, a ordinargli una bicicletta, e mi feci fare non solo il telaio su misura, ma anche tutti dei particolari incredibili, dal sellino, ai freni, al manubrio. Era una Patelli da corsa. Con quella bicicletta ho fatto anche trecento, trecentocinquanta chilometri al giorno. Mi alzavo e pedalavo. Mi rassettavo con la prima fontana che mi capitava e magnavo, anche con l’elemosina! Sono andato in bicicletta dove capitava, la destinazione era casuale, a seconda delle occasioni. D’estate andavo dalla fidanzata che era in Puglia con il padre a fare la campagna dell’uva, e i carciofi a febbraio, e io ci andavo in bicicletta... ma sì! Ci si metteva un giorno o due... dormivo per la strada. Una volta ho fatto Bologna Roma andata e ritorno in tre giorni con mille lire in tasca. Bisogna essere dei pazzi! Quella volta la mamma mi cercava perché io non le avevo detto che andavo a Roma, credeva che al massimo andavo a Firenze. Avevo diciotto anni, forse anche meno... quindici, sedici, diciassette, diciotto... non cambia niente, in quegli anni era così.
Cosa mi ha spinto a girare l’Italia in bicicletta? La libertà.
Ai viaggi in bicicletta è seguita la cucina, è stato naturale. Hai mai provato a viaggiare e a non mangiare? Non esiste. A me andava bene tutto, dovevo provare che cos’era l’Italia. Per me ogni regione ha la sua storia, ognuno ha un bel da dire! Massimo Montanari scrive nella sua introduzione: non c’è una storia regionale, e io non sono d’accordo per niente su questo. C’è eccome una situazione regionale, a partire dai prodotti ad esempio, noi importiamo i carciofi e mangiamo i carciofi, ma non sarebbe un nostro prodotto. Adesso non è più proprio così, si trova tutto dappertutto, ma quando ho girato io l’Italia, il piacere era che a San Ferdinando di Puglia c’era un mondo a tavola, che conoscevi a tavola. Certe paste, certi sughi... erano diversissimi! In più mi divertivo a recuperare le parole, trascrivendo i termini dialettali, venivo da te e ti chiedevo come lo chiami questo?.
Quando ero laggiù, la mattina andavo al mare con la fidanzata, oppure al pomeriggio, tante volte la lasciavo al mare che c’erano sua madre e suo padre, e io intanto me ne andavo in bicicletta, fino a Lecce, su verso Matera, Potenza... io la Basilicata l’ho vissuta! E difatti il mio ultimo libro pubblicato è un ricettario di cucina della Basilicata, fatto benissimo, perché sono un maniaco. Per me i libri sono come i figli, sono una persona seria e il libro deve essere intelligente e fatto bene. Adesso non c’è più il correttore di bozze e stiamo leggendo dei libri e dei giornali che sono indegni. Potrei raccontarti per due o tre ore la Puglia, due o tre ore la Basilicata, due o tre la Calabria, capito?
I miei ricordi, i miei interessi, sono a tutti i livelli, è la mia vita, tutta la mia esperienza di vita. Per me ogni regione ha i suoi sistemi come i ceramisti ad esempio, la ceramica ha la sua storia, ogni regione ha il suo modo di alzare la terra e di confezionare gli oggetti. Strada facendo incontri le rarità, incontri l’artigiano che sa fare gli zuffoli che vanno nella zampogna e allora ci sono le zone degli zampognari. Dove c’è l’uso della zampogna l’artigiano è in zona.
Non ho mai smesso di girare l’Italia, ma ho mollato la bicicletta. Al finale della vicenda questa bicicletta meravigliosa l’anno scorso l’ho regalata a mio figlio che l’ha appesa alla parete della sua camera da letto. È la vita, un discorso lunghetto.
Il particolare è essere libero dentro, è la verità, è quello che abbiamo vissuto.
Purtroppo mio figlio mi ha richiamata all’ordine, ma sarei rimasta per ore ad ascoltare le storie di questo educato galantuomo dal linguaggio colorito e provocatorio, per assaporare attraverso le sue parole il profumo della libertà. E della cultura. Ho desiderato avere e condividere quell’intelligenza, lo stimolo e la curiosità che ti fanno alzare la mattina e uscire a scoprire il mondo, senza limiti, neppure quelli imposti dalla mamma. Non deve essere certo una vita facile, prigionieri come siamo di noi stessi e delle nostre regole, delle nostre paure, giudici e imputati a seconda delle occasioni che ci offre la vita, ma niente è impossibile, e soprattutto niente è perduto. Ho volutamente trascritto le sue parole tali e quali per farvi rivivere con me questo incontro, lasciandovi la libertà di interpretarle e di sognare insieme a me di pedalare su una strada lunga lunga, in una bella giornata di sole, con gli occhi e il cuore aperti. Liberi.
Alessandro Molinari Pradelli è giornalista, scrittore, ideatore e produttore di eventi culturali e gastronomici, fondatore e collaboratore di numerose riviste, collaboratore di quotidiani, bibliofilo (vanta la seconda biblioteca privata di carattere gastronomico in Italia). La sua estesa bibliografia la trovate facilmente su google e nella sezione cucina di molte librerie italiane.