La terra

di prof. Carlo Pellacani

L’Ipotesi Gaia è stata formulata da Lovelock negli anni Settanta del secolo scorso e teorizza implicitamente l’esistenza di uno stato di equilibrio globale tenendo conto non solo delle condizioni fisiche della Terra, ma anche della vita sul pianeta. Tuttavia, come è stato dimostrato anni dopo dal fisico E. Lorenz del MIT, le circolazioni oceaniche e atmosferiche e la vita stessa non sono fenomeni in equilibrio. Ma soprattutto la teoria di Lovelock non tiene conto di molti fenomeni astronomici allora quasi ignoti, quali la caduta di meteoriti, le comete e i mutamenti causati dal trascinamento della Terra a opera del Sole, nel suo moto attorno al centro della Via Lattea, la galassia a spirale formata da 200 miliardi di stelle di cui facciamo parte. L’equilibrio ipotizzato da Lovelock non è più immaginabile oggigiorno. Consideriamo ad esempio per un momento la storia della Terra.
Il nostro Sistema Solare è nato circa 4,6 miliardi di anni fa quando una gigantesca nube cosmica ha collassato sotto l’effetto della forza di gravità formando prima il Sole e successivamente i pianeti del sistema.
Non sappiamo quanti fossero allora questi pianeti. Probabilmente all’inizio le loro traiettorie attorno al Sole erano instabili e irregolari: gli astronomi, ad esempio, sono sempre più convinti del fatto che la Luna si sia formata a causa dello scontro fra la Terra e uno di questi piccoli pianeti primordiali che non sarebbe sopravvissuto all’impatto, mentre i detriti dello scontro cosmico, diffusi attorno alla Terra, avrebbero formato il nostro satellite così come lo conosciamo ora.
In base alle più recenti teorie, la grande abbondanza d’acqua sulla Terra si spiegherebbe con un bombardamento durato centinaia di migliaia di anni di meteoriti e comete contenenti acqua in varie forme; mentre si sapeva già che la maggior parte della massa delle comete è formata da ghiaccio, solo negli ultimi tempi si è scoperto che i meteoriti contengono particelle di sale in cui si osservano goccioline di acqua.
All’inizio della sua esistenza la Terra possedeva un’atmosfera composta da gas diversi rispetto a quelli attuali, meno densa, che non si opponeva alla caduta di meteoriti grandi e piccoli. A quell’epoca, la formazione del Sole e del Sistema Solare doveva aver disperso quantità incredibili di materiale che è poi ricaduto anche sulla Terra. L’atmosfera terrestre conteneva solo vapore acqueo, anidride carbonica, azoto e tracce minime di altri gas; mancava l’ossigeno, che è alla base della respirazione di quasi tutte le specie animali oggi presenti sul nostro pianeta. L’intensità della radiazione solare era fortissima e avrebbe distrutto qualsiasi forma di vita si fosse sviluppata sulla superficie della Terra.
Così le prime tracce di vita apparvero circa 2 miliardi e mezzo di anni fa nelle profondità degli oceani sotto forma di microbi anaerobi che non avevano bisogno di ossigeno ed erano protetti dalle radiazioni cosmiche da spessi strati di acqua (queste cifre potrebbero cambiare in seguito a nuove scoperte).
Comparvero successivamente delle alghe in grado di realizzare la fotosintesi e produrre ossigeno che, all’inizio, si disciolse nell’acqua degli oceani e successivamente si diffuse nell’atmosfera. L’idrogeno, più leggero, si diffuse nel cosmo lasciando l’atmosfera terrestre, che gradualmente raggiunse la composizione attuale con un 21% di ossigeno, un 78% di azoto, chimicamente neutro, e uno 0,03% di anidride carbonica. Oggi quest’ultima percentuale, insieme a quella di altre sostanze, si sta modificando probabilmente a causa delle attività umane, dando origine all’effetto serra e al lento riscaldamento dell’atmosfera. Bisogna tuttavia ammettere che l’atmosfera terrestre nel passato ha attraversato ere calde e fredde in assenza di effetti paragonabili a quelli prodotti dall’industrializzazione di quest’epoca.
Questa elevata percentuale di ossigeno ha reso possibile la vita sulla Terra come la conosciamo oggi. Da questo punto di vista
l’Ipotesi Gaia conferma in qualche misura il fatto che la vita si sia sviluppata non solo grazie ai parametri fisici del pianeta ma anche per ragioni intrinseche. Se queste alghe (microscopiche) non fossero apparse circa 2 miliardi e mezzo di anni fa nei fondi oceanici, l’atmosfera terrestre avrebbe probabilmente una composizione tale da rendere impossibile la vita come la conosciamo sulla superficie del nostro pianeta.
Il livello attuale di ossigeno è mantenuto dal contributo delle piante e degli alberi che, come le prime alghe apparse nelle profondità marine, lo rilasciano tipicamente durante le ore notturne. Dunque è la vita dei vegetali che sostiene la concentrazione di ossigeno e ha permesso alla vita animale di spostarsi dal mare ed emigrare sulle terre emerse. Questo è il motivo per cui i movimenti ecologisti si oppongono alla distruzione delle grandi foreste come quella amazzonica. In ogni caso l’esistenza dei continenti è un effetto dei processi geologici della Terra. La vita come la conosciamo adesso (animali che respirano ossigeno) emerse circa 580 milioni di anni fa perché la geologia della Terra produsse i continenti, e le alghe microscopiche prima e gli alberi e le piante più tardi permisero agli esseri viventi di attivare una respirazione basata sull’ossigeno. Tuttavia la formazione degli sterminati oceani del nostro pianeta fu determinata da agenti esterni e non dalla Terra stessa.
Una vera esplosione delle specie viventi, osservabile grazie alle tracce geologiche, si verificò circa 540 milioni di anni fa in quella che viene definita l’Era Cambriana. Si stima che di quelle specie sia scomparso circa il 99%. In base ai calcoli attuali le specie estinte ammontano a svariati miliardi, mentre il numero di quelle viventi, secondo gli esperti, è compreso tra 10 e 14 milioni (molte sono ancora sconosciute e ne vengono continuamente scoperte di nuove). Parte di queste scoperte confermano alcuni aspetti delle intuizioni di Lovelock, nel senso che esiste una complessa forma di “collaborazione” fra l’atmosfera del pianeta e la vita sulla Terra ma anche l’evoluzione della superficie terrestre ha collaborato creando le terre emerse dove lentamente le specie hanno potuto instaurarsi passando alla respirazione dell’ossigeno che è di gran lunga più efficiente della respirazione anaerobica. Esistono ancora microbi anaerobici nelle profondità degli oceani, dove vivono nei pressi delle esalazioni vulcaniche.
Inoltre 65 milioni di anni fa tutti i dinosauri scomparvero dalla faccia della Terra per effetto di un brusco abbassamento della temperatura probabilmente determinato dalla caduta di un gigantesco meteorite del diametro di una decina di chilometri. Il meteorite avrebbe oscurato con le polveri sollevate dal suo impatto il cielo del nostro pianeta abbassando per anni la temperatura.
I dinosauri erano rettili a sangue freddo e avevano bisogno delle radiazioni solari per incamerare energia e di conseguenza morirono in massa, ma non si può neppure escludere che la loro scomparsa sia dipesa da una variazione climatica cui non sappiamo dare una spiegazione. L’ipotesi della caduta di un gigantesco meteorite è per ora uno scenario ampiamente condiviso. Da quel momento i mammiferi poterono svilupparsi più facilmente in quanto mantenevano alla temperatura ideale i feti all’interno del proprio corpo; i pochi mammiferi che vivevano a quell’epoca erano molto piccoli, simili a un grosso topo, e potevano trovare tane per proteggersi dal freddo. Da quei mammiferi primitivi sopravvissuti discendono tutti i mammiferi presenti oggi sul nostro pianeta, compreso il genere umano. Se la teoria del gigantesco meteorite è corretta, ci troviamo di fronte ancora una volta al ruolo fondamentale giocato da un evento cosmico nell’evoluzione della vita sul nostro pianeta.
I primati apparvero circa 65 milioni di anni fa: erano muniti di dita per aggrapparsi e probabilmente vivevano nelle foreste. Sono distinguibili due sottordini diversi dell’ordine dei primati: le Proscimmie e gli Antropoidi. Del primo fanno parte ancora alcune specie simili ai lemuri: si tratta di animali tipicamente notturni.
Gli Antropoidi erano viceversa animali diurni: i loro occhi potevano distinguere i colori e il cervello era certamente più grande di quello delle Proscimmie. Si ritiene che siano apparsi in Africa e che da loro si siano evolute varie specie di scimmie. Gli ominidi, secondo le teorie scientifiche, emersero dalla specie degli Antropoidi.
La loro comparsa pone un problema assai complesso: la natura fisica della loro evoluzione suggerisce che abbiano abbandonato le foreste e si siano trasferiti nelle savane probabilmente ancora una volta per effetto di un cambiamento climatico che li costrinse a quella scelta. In effetti il numero di reperti fossili potenzialmente identificabili con i nostri probabili progenitori aumenta man mano che gli anni passano e vengono fatte nuove scoperte. Diverse tipologie sono individuabili nel periodo che va da 10 a 5 milioni di anni fa.
Tra i possibili antenati della specie umana sono stati identificati tutti i reperti che dimostravano la presenza di specie in grado di camminare in posizione eretta.
Nel 1994 sono state evidenziate le tracce di un Ardipithecus datato 4,4 milioni di anni fa.
Le tracce di un ominide di due milioni di anni fa hanno permesso di classificarlo come Homo Habilis. Nel Nord del Kenya è stato scoperto un altro individuo della specie Homo Habilis vissuto circa due milioni di anni fa. Un Homo Erectus è stato trovato in Africa. Le tracce dell’Uomo di Neanderthal, trovate in Europa, suggeriscono una datazione pari a circa 100.000 anni fa. Reperti di quello che viene chiamato Uomo di Cro-Magnon, sostanzialmente identificabile con la specie Homo Sapiens, sono stati ritrovati in Europa e in Africa; la sua comparsa risale a circa 40.000 anni fa. Secondo gli scienziati l’Homo Sapiens possedeva una forma primitiva di linguaggio e la struttura del DNA dimostra che l’umanità deriva da questa specie. 13.000 anni fa l’Homo Sapiens divenne la specie dominante su tutta la Terra. Questa è almeno la teoria ufficiale che naturalmente può essere modificata alla luce di nuove scoperte.
Con l’epoca industriale, l’uomo ha iniziato a modificare certi aspetti dell’atmosfera e non solo. L’Ipotesi Gaia non rende conto dei mutamenti climatici determinati da fattori esterni e che, come abbiamo visto, hanno caratterizzato lo sviluppo delle specie viventi sulla Terra. Essa definisce tuttavia con sorprendente lucidità il presente e i suoi problemi.
La difficoltà maggiore dei climatologi consiste nel prevedere se i cambiamenti introdotti dall’epoca industriale altereranno in misura consistente i rapporti fra le varie componenti di un equilibrio che in realtà nessuno è in grado di identificare perché la Terra e la specie umana formano assieme un tipico sistema non in equilibrio. È un’operazione matematicamente complessa formulare previsioni per il futuro dopo che è stato dimostrato che la stessa circolazione atmosferica è un sistema caotico dove un evento inessenziale come una farfalla che vola alle Hawaii può causare perfino tempeste gigantesche in ogni parte del pianeta. Dovrebbe essere chiaro che, in simili condizioni, l’Ipotesi Gaia risulta solo parzialmente plausibile: un sistema fuori dall’equilibrio può produrre cambiamenti repentini e assolutamente imprevedibili. Tutto sul nostro pianeta evolve: le montagne si abbassano un po’ ogni anno per effetto del gelo, a una zona in precedenza fertile capita di trasformarsi in un deserto e viceversa. L’area del Sahara era una zona fertile fino a circa 11.700 anni fa e sulla sua desertificazione esistono diverse teorie che chiamano in causa i venti monsoni e la circolazione oceanica. A causa della natura intrinsecamente caotica dell’atmosfera il limite temporale di una previsione affidabile, ovvero non affetta da errori importanti, tramite modelli di previsione meteorologica numerica si aggira intorno ai 7-15 giorni.
Anche se l’Ipotesi Gaia cattura certe evidenze dell’interazione fra la vita, la geologia e le circolazioni dell’atmosfera e degli oceani, non tiene conto dei cambiamenti e degli incidenti prodotti dalla natura complessa dell’universo come la caduta di meteoriti di grandi dimensioni (quelli piccoli continuano incessantemente a cadere sulla Terra senza che nessuno se ne accorga anche perché la maggior parte della superficie terrestre è ricoperta dagli oceani). In realtà molti degli effetti del cosmo sul nostro pianeta sono ancora sconosciuti e la teoria dell’evoluzione della vita sulla Terra è certamente un fatto nel caso del mondo dei batteri dove le generazioni si succedono rapidamente in un ambiente sperimentale facilmente controllabile, ma diventa più complessa e meno ovvia quando ci si sposta su scale di tempo più lunghe e animali più complessi.