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Mia madre

di Francesca Del Moro

Quando questo numero di ILLUSTRATI vedrà la luce, l’8 marzo sarà passato da poco più di una settimana ma oggi, mentre racconto le mie impressioni su uno dei libri che più mi hanno colpito negli ultimi anni, manca giusto qualche giorno alla data conosciuta come la giornata della donna. Come sempre, qualcuna ne approfitterà per festeggiare con le amiche e ritagliarsi uno spiraglio tra le fatiche domestiche e lavorative, altre promuoveranno iniziative a tema e immancabilmente fioriranno polemiche sull’opportunità di questa commemorazione. Personalmente credo nell’importanza della collettività, per questo apprezzo le ricorrenze che invitano le persone a riunirsi per ricordare, discutere e dare espressione corale a temi importanti. Questa premessa sembrerebbe aver poco a che fare con un libro che investiga il rapporto tra madre e figlia unendo un testo poetico a immagini dal sapore esotico. Ma questo lavoro si offre a diversi livelli di interpretazione, e la lettura politica mi affascina particolarmente. Già da molti anni il tradizionale ruolo della donna è stato messo in discussione ma alla figura dell’angelo del focolare rischia di sostituirsi un nuovo cliché di superdonna, ovvero colei che non solo riesce a svolgere queste mansioni ancora ritenute tipicamente femminili ma al tempo stesso eccelle nello studio e nel lavoro e riesce perfino a trovare il tempo di tenersi in forma e magari di impegnarsi in attività politiche o artistiche. Quante volte abbiamo letto articoli dedicati a intellettuali, musiciste, scrittrici, onorevoli o simili in cui si puntualizza che la donna in questione riesce comunque ad allevare un numero congruo di figli? Questa immagine, che mi piace definire del “femminile performante”, viene ad affiancarsi alla vecchia icona di madre e moglie, mai realmente tramontata, e rischia di essere altrettanto pericolosa. Chiamate a dividere il proprio tempo tra la cura domestica e il lavoro, spinte a svolgere una vertiginosa molteplicità di compiti, le donne spesso soccombono alla stanchezza, alla percezione della propria inadeguatezza e soprattutto ai sensi di colpa.
Per questo la madre a cui è dedicato il libro di Emmanuelle Houdart e Stéphane Servant è una figura rivoluzionaria. Già l’immagine orientaleggiante di copertina, che la ritrae con gli occhi chiusi, le labbra pronte al bacio, i capelli che si trasformano in radici e variopinti uccellini sul capo, presenta un elemento dissonante: le mani, ingentilite dallo smalto rosso, sono sporche. Potrebbe averle macchiate lavorando in cucina o in giardino, o nel corso di una delle avventure che la vedranno protagonista nelle pagine a venire. Di certo è una donna che qualcuno definirebbe “imperfetta”, poiché non è del tutto in ordine: ben truccata per la copertina, ha trascurato nondimeno un dettaglio importante. Nell’immagine successiva, quella del risguardo anteriore, ritroviamo la donna ancora di profilo (una costante del libro) intenta a leggere una storia alla bambina che tiene in grembo. Madre e figlia si trovano in un nido e intorno a loro si moltiplicano i volatili: i motivi presenti sulla veste della donna, l’uccellino in volo al di sopra del libro, un pinguino sul bordo del nido, indeciso tra restare o partire, e l’airone che si leva alto nel cielo. Chi è l’uccello che lascerà il nido? Con ogni probabilità la madre, non la bambina, perché la piccola ha gli occhi immersi nel volto dell’altra, mentre quest’ultima li tiene fissi innanzi a sé, oltre le pagine del libro che sta leggendo. Il suo sguardo si colloca esattamente a metà tra l’airone in volo e il pinguino che esita, due animali simbolici in cui si sdoppia (più avanti appariranno la lupa e la volpe, tradizionali emblemi di intelligenza e astuzia).
Il dualismo è un elemento ricorrente fin dai primi versi: Mia madre ha il cuore tra la luce del sole e il buio della notte. Nella stessa pagina, la madre pronta a partire ha come bagaglio una spada e alcuni gomitoli, che alludono alla compresenza dei ruoli che la tradizione attribuisce rispettivamente all’uomo e alla donna. Un tema portato avanti nell’illustrazione seguente, che la vede partire verso misteriose avventure a bordo di un mostro affascinante. Lei lo cavalca sferruzzando, con una ferita che le squarcia la gamba alludendo forse a qualche combattimento già avvenuto, e anche il mostro è duplice: ha un viso angelico ornato da ali e un altro volto di uccello dagli occhi rapaci e un paio di corna vermiglie. La madre riunisce in sé tratti maschili e femminili, è guerriera e dedita alle mansioni domestiche, ma è tutt’altro che una superdonna. Infatti un nonnulla cambia il suo riso in festa e la sua tristezza in tempesta. Anche lei è preda di momenti di sconforto, di tristezza e non nasconde le sue debolezze. La vediamo sorridere e piangere, ci appare libera in volo o chiusa in una gabbia. È una figura complessa e irrequieta, lontanissima dalle immagini edulcorate o dalle quasi-deificazioni che la spersonalizzano mostrandocela statica, rassicurante, perennemente dedita agli altri.
Anche lei ha bisogno ogni tanto che qualcuno la curi e la conforti come si vede nella bellissima immagine che la rappresenta come un giardino in cui fiorisce l’amore ma non mancano spine e piante selvatiche. Ribaltando i ruoli tradizionali, qui sono la figlia e il padre a occuparsi di lei, delle sue piante che con pazienza hanno imparato a coltivare. Nel tipico stile di Emmanuelle Houdart, le illustrazioni dalle linee precise e i colori brillanti sono sempre ricche di piccoli dettagli che, come in un quadro di Chagall, si precisano solo a uno sguardo attento. Ogni immagine richiede tempo per essere letta a fondo e rappresenta in sé una piccola storia nella storia. Qui i temi che creano coesione a livello visivo sono il dualismo di cui si è già detto, il motivo del viaggio, il dialogo di sguardi tra madre e figlia che coglie con grande finezza tutte le sfumature emotive. In fin dei conti si tratta di una storia d’amore ma la vera novità è che l’amore della madre non è scontato: l’inquietudine si intreccia alla dolcezza e la bambina ha costantemente paura di essere abbandonata. Ma c’è un lieto fine anche se l’angoscia non scompare mai del tutto: il libro termina con pochi dolcissimi versi in cui la madre dichiara il proprio amore alla figlia e con due immagini piene di tenerezza. La bambina capisce che la madre la ama e si tranquillizza, ma ormai ha imparato a conoscerla: sa che continuerà a spingere lo sguardo oltre, a sognare, a soffrire e ad aver bisogno a sua volta di amore e di cura. In questo piccolo gioiello di arte e poesia, i due autori si sbarazzano da un lato dell’immagine storica della donna come madre tranquillizzante, immobile e santa, dall’altro del nuovo mito contemporaneo della superdonna. Una lezione per moltissime persone di qualunque età.

Mia madre
di Emmanuelle Houdart
#logosedizioni
cartonato, 28 pagine, 200x275 mm
Italiano
ISBN: 9788857608402