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HALLEY E LE TERRE CONCENTRICHE

di Ivan Cenzi

Se esistono numerose, distinte sfere celesti sopra le nostre teste, perché non potrebbero essercene altrettante sotto i nostri piedi?
Le idee di Isaac Newton erano profondamente radicate nello studio dell’alchimia e dell’astrologia. Nel Libro III dei Principia il padre della fisica, forse proprio seguendo qualche teoria esoterica, commise un grossolano errore: calcolò infatti che la Luna fosse più densa della Terra, e non di poco – in un rapporto di 9 a 5!
I suoi contemporanei, se pure si accorsero della cantonata, passarono generosamente sotto silenzio questa faccenda della Luna ultra-densa. In definitiva si trattava di un dettaglio, all’interno di un’opera vasta e rivoluzionaria. Ci fu uno studioso, però, che proprio da questo errore partì per formulare una teoria straordinaria.
Si trattava dell’astronomo Edmond Halley (1656–1742), famoso ancora oggi per la cometa che porta il suo nome. Già nel 1683 Halley aveva formulato l’ipotesi che esistessero non due, ma quattro poli magnetici terrestri: l’idea era nata per dare conto di tutta una serie di anomalie riscontrate sulle bussole, variazioni di cui si dibatteva da tempo nella comunità scientifica (perfino Cartesio aveva detto la sua al riguardo). Ma l’illuminazione giunse a Halley proprio rileggendo l’errore contenuto nei Principia di Newton: l’astronomo si chiese come poteva la Luna, pur essendo così piccola, avere una densità pari quasi al doppio di quella terrestre. Invece di mettere in discussione questo dato, concluse che la Terra doveva essere vuota. O, meglio, ipotizzò che la superficie terrestre, dello spessore di 800 km, nascondesse altre due croste concentriche, in perpetua rotazione interna, separate da gas atmosferici. Al centro un’ultima sfera, il nocciolo del nostro pianeta.
Questa teoria, pubblicata nel 1692, era in grado di spiegare le anomalie magnetiche, perché lo spostamento dei poli sotterranei avrebbe ovviamente fatto “impazzire” qualsiasi bussola. Halley, conscio della bizzarria della sua tesi, provò ad anticipare alcune obiezioni. Come facevano queste sfere a rimanere nella giusta posizione, senza toccarsi? Evidentemente era tutto merito della forza di gravità – d’altronde gli anelli di Saturno non se ne stavano forse lì a mezz’aria allo stesso modo? E se la crosta esterna si fosse crepata, non c’era il rischio che un oceano scomparisse nella cavità sottostante? Dovevano esserci, rispondeva Halley, delle “particelle saline e vitrioliche” che pietrificavano l’acqua all’istante, impedendole di infiltrarsi ai livelli più bassi. Oltre a simili congetture, Halley aggiunse al suo trattato anche una frase che nei secoli successivi avrebbe fatto la gioia degli scrittori di fantascienza: “Mi sono spinto a ipotizzare che questi globi sotterranei siano abitabili”. Impossibile resistere al fascino di queste parole. Ecco dunque che prese vita un avventuroso filone letterario, a cui contribuirono tra gli altri anche scrittori del calibro di Holberg, Casanova, Poe, Verne.
A seconda dell’autore i mondi interni sono stati descritti come scenari utopici abitati da entità di infinita saggezza, o al contrario come luoghi infernali in cui si annidano razze crudeli e guerrigliere. Fondendosi con miti antichi e moderni, sono diventati di volta in volta l’ubicazione della mitica città perduta di Agarthi, la base segreta da cui partono i dischi volanti, la patria di fantastici esseri preistorici...
Anche fuori dalla pagina c’è chi ha cercato (invano) i cunicoli di accesso alle sfere inferiori, passaggi che sarebbero nascosti al Polo Nord, sull’Himalaya o in altri punti spiritualmente significativi.
Edmond Halley rimase convinto della sua teoria fino alla fine dei suoi giorni.
Ad esempio, quando il 6 marzo 1716 gran parte dell’Europa nord-occidentale fu testimone di spettacolari aurore boreali, in un articolo per la Royal Society Halley le collegò alla fuoriuscita di gas luminosi provenienti dai mondi interni.
Nel 1736, ormai ottantenne, l’Astronomo Reale fu ritratto con in mano il suo diagramma della Terra cava. In un certo senso quel ritratto gli fa onore: anche se non nel modo in cui si sarebbe aspettato, la sua idea dei continenti sotterranei segnò indelebilmente l’immaginario collettivo.