Quattro alieni di lana colorata sferruzzano allegramente in pieno giorno sul Cerro Santa Lucía, una collina in pieno centro a Santiago del Cile. Entro nella pagina facebook che ha pubblicato il video e trovo altre maschere di lana, foto di viaggi e di lane colorate, di incontri e di un’unica passione e filo conduttore: il lavoro a maglia. A seguire quanto mi ha raccontato di sé e del suo lavoro INGRATO, alias Sebastián Plaza Kutzbach, un ragazzo di venticinque anni che dedica il suo tempo libero alla passione per il lavoro a maglia.
“Il lavoro a maglia mi viene da mia madre e dalle nonne che ho visto lavorare ai ferri per ore e ore quando ero piccolo, ma non ho mai potuto partecipare perché le madri non credono sia corretto insegnare queste cose ai bambini maschi. Fu la madre del mio compagno a insegnarmi finalmente l’uncinetto e solo allora mia nonna, vedendomi così motivato e intento a imparare, mi insegnò a lavorare ai ferri. Avrei voluto studiare disegno tessile, mi è sempre piaciuto tutto ciò che ha a che fare con i vestiti e il corpo ma, non avendone la possibilità, ho fatto grafica. La scintilla scattò il giorno in cui presi dei gomitoli e mi misi a lavorare tutto il giorno fino a tirarne fuori un cappello, che poi divenne un passamontagna e in seguito un poncho... Per fare una maschera impiego quattro o cinque giorni lavorando cinque o sei ore al giorno, per un vestito completo ci vuole un mese. Non ho ancora capito cosa sia per me la maschera, lo sto scoprendo ma è una cosa complessa. Rappresenta esattamente ciò che ho sentito e pensato e vissuto nel periodo in cui la stavo realizzando, e lo si legge nel colore, nella tecnica che ho deciso di usare, nelle rifiniture... e quando la indosso non mi sento libero, ma imprigionato dentro a un oggetto. Ogni maschera contiene la carica della persona che l’ha fatta nel momento preciso in cui l’ha fatta. Mi piace sperimentare, confrontarmi con altre persone e condividere con loro l’esperienza, nel piccolo salotto di casa mia tengo dei laboratori i cui iscritti sono persone diverse tra loro ma accomunate dalla passione per il lavoro a maglia, per lo più molto più grandi di me. Parliamo del corpo, di cosa significa questo lavoro per ognuno di noi. Ognuno dei partecipanti prende il lavoro a modo suo e lo interpreta in modo diverso. Il laboratorio è completamente libero e spontaneo, non c’è un tema né una linea guida, non facciamo un bozzetto di ciò che realizzeremo, nessuno disegna la maschera prima, tutto esce nel momento. Neanche io faccio bozzetti, prima di iniziare immagino cosa voglio fare, penso ai colori, prendo i gomitoli, scelgo quelli che mi piacciono di più e inizio. Io non lo so perché mi piace lavorare a maglia né perché mi viene così spontaneo, ma attraverso questi laboratori capisco meglio la funzione che ha nella mia vita. Scegliere sul momento è la cosa che preferisco perché permette di sbagliare, e più errori ci sono migliore è il risultato. Sbagliare, fare le cose diverse da come ce le eravamo immaginate, è sempre molto meglio che attenersi a uno schema, significa libertà. Durante il laboratorio integro alla lana materiali riciclati come plastica, canapa e altri, è un modo per riutilizzare i rifiuti che ogni giorno produciamo e vederli in una nuova veste. I miei alunni adorano riciclare così come a me piace vederli tornare con i materiali più strambi che hanno raccolto a casa per le loro opere. Il video che hai visto è stato fatto alla fine di uno di questi laboratori, serviva a documentare il lavoro svolto. Io ho semplicemente proposto di uscire, sono stati loro a volersi portare dietro i ferri e i gomitoli e a voler lavorare in pubblico. Volevano intervenire nello spazio, lavorare in mezzo alla gente che si è presto avvicinata a guardare e commentare. Il risultato è stato molto bello, perché per alcuni erano maschere bellissime e per altri erano orribili e mal fatte, tutto dipende sempre dalla mano del tessitore, dalle sue intenzioni, dal punto di vista e dal senso estetico di chi guarda. Che cos’è la bellezza? È stata la prima domanda che ci siamo fatti in quel momento.
Prima di vivere a Santiago abitavo a Villa Alemana, un piccolo paesino, avevo terminato gli studi e non avevo ancora trovato un lavoro, così trascorsi tutto l’inverno a studiare la tintura delle lane. Avevo il tempo e lo spazio per camminare nel bosco, raccogliere le foglie per i miei pigmenti naturali e accumulare l’acqua piovana. La migliore acqua per tingere è quella piovana, perché aiuta ad assorbire i pigmenti e contiene meno sostanze chimiche rispetto a quella del rubinetto. Ho tinto le lane per fare tre poncho con foglie di noce, foglie di cipolla, resti di caffè in grani, fagioli neri, erba. Uno dei segreti per fissare il colore è usare l’orina, così ho accumulato la mia orina, l’ho aggiunta all’acqua in ebollizione e i colori sono venuti molto meglio di quelli fissati solo con il sale.
Ho trovato tutto in rete, sono delle istruzioni colombiane.
Poi, quando ho trovato lavoro e mi sono spostato a Santiago, ho dovuto abbandonare queste tecniche per problemi di spazio, di tempo e di contesto. Santiago è una grande città dove non piove mai e quando piove la pioggia è carica di smog. Adesso uso molti materiali sintetici, trovo che l’eccesso di colore rappresenti molto bene la città, il caos e la modernità.
Creo nel mio tempo libero, dopo il lavoro, se devo uscire porto i miei ferri dietro e così procedo, alcuni commentano, ma in Cile sta crescendo sempre più il movimento HOMBRES TEJEDORES,* non è più come prima. Ogni anno cerco di viaggiare e vedere cose nuove, scoprire nuovi materiali e nuovi colori. L’anno scorso sono stato in Bolivia, nei paesi e nelle città più a sud, quelle vicine al Cile e all’Argentina, dove ho trovato laboratori artigianali in cui si realizzano i costumi per le festività della Tirana.**
INGRATO perché in Cile non si dà il giusto valore al lavoro dell’artigiano. È un lavoro ingrato produrre manufatti al giorno d’oggi con tutta l’industria e la Cina che ci circondano. Il lavoro artigianale viene svalutato e stanno scomparendo i tessitori, i ricamatori, i ceramisti perché non riescono a vendere i propri manufatti a un valore che tenga conto di tutte le ore impiegate per realizzarli. Le persone mi chiedono di comprare le mie maschere e vorrebbero pagarle dieci/venti dollari dando vita a situazioni abbastanza ridicole.
INGRATO vuole mostrare il lavoro artigianale, e insegnare alle persone quante ore ci vogliono per realizzare un manufatto e di conseguenza valorizzarlo.”
Grazie INGRATO del tuo tempo, di aver condiviso il tuo sogno con me e insieme a te dedico questo piccolo spazio a tutti gli artigiani che sono scomparsi nel mare orientale.
* uomini tessitori | ** celebrazione di carattere religioso