Editoriale

di Francesca Del Moro

Si dice spesso che il dolore sia la più feconda fonte di ispirazione. Sfidando questo assunto e prendendo spunto dalle sette divinità portatrici di buona fortuna della mitologia e del folklore giapponese, i poeti selezionati per questo numero sono stati invitati a scrivere versi felici e positivi. In aderenza al tema proposto, i versi dal sapore epico di Alessandro Silva raccontano la nascita traumatica di Ebisu, una delle sette divinità della fortuna e dio giapponese dei pescatori, chiudendosi con una nota di inattesa dolcezza. Parimenti ambientato nella terra del sol levante, il componimento di Flavio Scaloni è un delicato ritratto di giovani donne a cui una pioggia di fiori di buon auspicio promette il compiersi dei desideri. I versi limpidi e visionari di Rita Stanzione mettono a fuoco un’illuminazione, la gioia che sboccia tremante tra i colori appoggiati sul palmo nel bianco dell’alba, eternarsi della purezza e del miracolo della nascita. Nella vivace filastrocca di Veronica Liga, un foglio bianco e inchiostro fresco sono protagonisti di una parabola sulla difficoltà di preservare la felicità, tra gli ostacoli che è possibile superare rimanendo pronti a cambiare direzione. Piena di gioia e al tempo stesso toccante è la poesia di Mariella Tafuto, in cui, se le gambe non possono saltare, è il cuore perennemente giovane a farlo, guarito da ogni pena, rinnovato e sospinto sempre avanti dall’Amore.

Ebisu e il Pesce Terremoto

di Alessandro Silva

Ebisu, bambino sanguisuga
ha rotte e sepolte le ossa da nato e
ne spinse nuove, da solo, con furia
di parto. Nacquero gambe tra i giunchi e
crebbe una luce di scheletro barbaro.
Sei impasto di candido, sorte buona e
meduse, sudi ogni goccia di mare
nel petto che parla e nutre di sonno
il Pesce-Terremoto: un giorno diede
in terra un azzanno di musi e zampe
strappato a cani infernali. Il giorno che
Ebisu chiuse la lingua sul sonno.
Gli fece una terra d’inverno, dopo,
e un ultimo pasto di vespe e ortiche.
E anche ninnò, Ebisu, al Pesce: “Sii dolce,
con l’uomo”. Poi rise di fragile affetto.

Un abbozzo dispettoso

di Veronica Liga

Presi un foglio bianco d’autrice,
Un inchiostro con la schiuma,
Una penna con la piuma –
e ci scrissi, “SONO FELICE.”
Poi piegai il foglio in fretta
Con l’inchiostro ancora fresco
Per mandare la circolare
Urbi et orbi – un messaggio solare.
Ma l’inchiostro non era asciutto
E si sparse dappertutto
Nella fuga lasciando le orme
Del messaggio oramai deforme.
E trovai fra le mie dita
Un ammasso di carta sgualcita
Ricoperto con le chiazze
Di colori e forme pazze.
E ne feci una pallina
Con dispetto da ragazzina
E la getto contro i muri nemici
Fra di me e me felice!

Ecocardiogramma

di Mariella Tafuto

Elastiche sono le pareti del cuore
non ispessite dagli anni e dalle pene
giovani quanto quelle di una ragazza
– mi diceva il cardiologo, stupito.
Si contraggono, con rinnovato vigore
ad ogni battito. E sei tu, Amore, che dài
slancio al movimento convinto delle due
valvole, che giocano alla corda nel mio
petto. Saltano, come io non ho mai potuto
con le gambe. Le ho viste, sai, parevano
bambine divertite. Ridevano di gioia
ad ogni salto.

Bianchi d’albe

di Rita Stanzione

Noi che siamo
inizi d’albe
lisci come le piume
bianchi di silenzio
con i colori nei palmi

ci giriamo,
un attimo finito
nei cristalli
ieri
le corde staccate
giorni di anni luce

il punto è
siamo nel punto stesso
dove siamo nati
quel sorso di spore,
quel miracolo di nudità

I giorni del ciliegio

di Flavio Scaloni

I giorni del ciliegio
ogni fiore che cade
ricama desideri sul kimono
bianco e muto
delle ragazze impazienti.

L’ultimo fiore
-il più prezioso-
si addormenta tra i capelli
della fanciulla meno attenta
offrendole un destino.

Trittici

di Annamaria Ferramosca

Trittici, ovvero tre opere per ciascuno di quattro artisti figurativi, offerte insieme a una poesia che da esse scaturisce fino a prendere una direzione propria. L’immagine che accende l’immaginazione, un dialogo tra due espressioni creative che a sua volta instaura altri livelli dialogici. Ad accomunare gli artisti scelti da Annamaria Ferramosca per questo libro è la centralità della figura femminile: dalle donne dai lunghi colli e i volti senza sguardo di Modigliani alle immagini-vissuto dense di colori e richiami simbolici di Frida Kahlo, dalle figure estatiche ed evanescenti di Cristina Bove alla precisione del dettaglio fisico e psicologico dei ritratti di Antonio Laglia. Ispirandosi e al tempo stesso generosamente omaggiando i quattro artisti, Annamaria Ferramosca offre una poesia costantemente protesa verso l’altro, verso l’incontro: tra soggetto e artista; artista e poeta; soggetto e poeta; tra l’avvicendarsi di artista, soggetto e poeta da un lato e il lettore-osservatore dall’altro. Lungi dal fornire mere didascalie alle opere proposte, i versi delineano tuttavia una puntuale analisi che ne ripercorre i tratti salienti – forme, colori, composizione, contesto – facendone il punto di partenza per l’esplorazione di temi esistenziali e per sviluppi narrativi riguardanti soprattutto le donne. Come nota Maria Teresa Ciammaruconi nella prefazione, le donne in cornice hanno il coraggio di prendere la parola raccontando il pudore, la vergogna, i desideri, la rassegnazione delle donne reali. Un racconto che prende forma attraverso un costante mutare del punto di vista e dell’interlocutore. Così le donne ritratte da Modigliani parlano direttamente all’artista in un andirivieni tra il proprio sentire e le scelte stilistiche di colui che le ritrae, mentre quelle di Antonio Laglia si rivolgono al lettore chiamando in causa l’artista in terza persona. Nel caso delle opere di Frida Kahlo, la pittrice che coincide con il soggetto traduce in parole lo sguardo fermo che ci punta addosso dagli autoritratti e in un caso si rivolge a un’altra figura, Xólotl, il cane che nella tradizione messicana accompagna i morti nell’oltre. Cangiante è la prospettiva applicata alle opere di computer art di Cristina Bove, che su Annamaria ha agito sia come scrittrice sia come artista visiva: il racconto in terza persona si alterna qui alla prima persona del soggetto dell’opera per lasciare che l’io poetante si affacci solo nell’attimo di un verso breve, come a rivelare il debito nei confronti dell’arte proposta. Questa vivacità comunicativa pone da un lato l’accento sul continuum tra le arti: anche i versi di Annamaria sono intensamente pittorici mentre le immagini a loro volta suggeriscono possibilità narrative e si prestano a tradursi in parole nella mente di chi guarda. E con forza ancora maggiore emerge il continuum di arte e vita: impossibile separarle, esse scorrono l’una nell’altra, si accendono a vicenda. Fino a incendiarsi, perché la scrittura di Annamaria è una scrittura intensa e appassionata, a partire dalla creatività con cui maneggia la materia linguistica: le parole spesso si fondono a due a due dando origine a un terzo elemento riccamente evocativo (dolceesagerata; azzurro-calmo; bambola-nell’angolo; visoabisso; occhiuragano; fiorimpronte), si spezzano ampliando la propria polisemia (de-finirmi), lasciano spazio a incursioni di discorso diretto in corsivo, fluiscono in ricche partiture musicali. Le figure femminili si interrogano, interrogano l’artista che le ritrae, ci obbligano a pensare. Curatrice e guida storico-artistica al tempo stesso, la poeta ci accompagna attraverso questa piccola mostra collettiva incentrata sui ritratti al femminile in un percorso intensamente emozionante, che saremo portati a proseguire per nostro conto una volta chiuso il libro. 

TRITTICI
Annamaria Ferramosca
Dotcom.press Edizioni 2016