CARLO VANNINI FOTOGRAFO

“Mi piace lavorare di notte, nel silenzio, con calma.”

di Lina Vergara Huilcamán

 

 

Ho iniziato per passatempo. Mio padre è morto che aveva quarant’anni, io ne avevo quattordici. Negli ultimi anni della sua vita eravamo andati spesso a sciare e in giro, e lui fotografava sempre. Quando morì trovai la sua macchina fotografica nel cassetto, una Zeiss a ottica fissa, di quelle classiche con il rullino dove impostavi solo il tipo di luce, e iniziai a fotografare. Allora esistevano le tabelline dove erano segnati tempi e diaframma da usare come riferimento; guardavi la tabellina e dicevi: dunque oggi c’è sole pieno, 125 e 8. La pellicola era in DIN, non c’erano gli ASA. Fotografavo gli amici. Era un periodo in cui viaggiavo, andavo in giro e fotografavo particolari di Amsterdam, gruppi di persone che si facevano le canne, storie di Reggio. Poi iniziai a fare l’imbianchino, lo feci per quattordici anni. All’inizio per altri, poi per conto mio, ma non smisi di coltivare la passione per la fotografia. Portavo i miei rullini da sviluppare a un fotografo e lui si accorse che avevo dell’occhio, così nacque un’amicizia e quando lui era pieno mi diceva: mi vai a fare quattro o cinque foto di questo battesimo? Ti metti lì dalla colonna che è il posto migliore. Mi dava una macchina fotografica e mi mandava a fare degli scatti ai battesimi, alle comunioni. Io schiacciavo solo il bottone, la macchina era già a posto, dovevo solo inquadrare.
Ho iniziato così, avevo vent’anni. Continuavo a fare l’imbianchino, ma un giorno mi stancai. Sono sempre stato una persona tormentata, che non riesce a fare per troppo tempo la stessa cosa, divento inquieto, ho bisogno di fare e di cambiare, ho bisogno di migliorare. Così lessi un’inserzione CERCASI GESTORE NEGOZIO DI FOTOGRAFIA e mi buttai. Era la fine del 1982, chiesi un prestito in banca e misi fuori un bel cartello che diceva: FOTOGRAFIE DI MATRIMONI, INDUSTRIALE, STILL LIFE... la gente che passava pensava che fossi un fenomeno, anche se la verità è che non sapevo fare ancora niente. Il primo lavoro che feci su commissione fu un catalogo della Confesercenti, in bianco e nero. Nel negozio durai un anno a causa dei debiti, fallii e dovetti vendere tutte le attrezzature, ma avevo un amico che era fotografo e che all’occorrenza mi prestava le sue. Per due anni feci due mestieri: sabato, domenica e tutte le sere imbiancavo appartamenti, e il resto del tempo, quando mi capitava, facevo il fotografo fino a pagarmi i debiti. Poi iniziai a lavorare, facevo still life pubblicitaria e industriale, fotografie aziendali. Non avevo lo studio per non avere costi, non me lo potevo permettere, e iniziai a collaborare con alcune agenzie pubblicitarie. Per tanti anni fotografai fax, i primi cellulari, stufe... non per i cataloghi belli le cui foto venivano fatte fare a Milano, ma per le fotografie a corredo. Facevo le fiere, fotografavo i maiali, i macelli. Alle cinque di mattina dovevo andare nei macelli e fotografare le macellazioni, ho fatto tante foto, ho assistito a cose non molto belle. Poi tra il 1985 e il 1986 iniziai a lavorare da un gallerista di arte moderna. Le riproduzioni le facevo già prima, mio padre dipingeva e anche alcuni dei suoi amici, e a me piaceva fotografare i quadri, le riproduzioni.
Credo che tutte le cose più importanti succedano per caso, quando una serie di eventi si incontrano accade sempre qualcosa. Così è successo a me. A Reggio c’erano alcuni tra i migliori restauratori d’Italia, e non avevano mai risposto alle mie proposte di collaborazione che mandavo per posta, poi un giorno che non avevo niente da fare chiamai i restauratori. Casualmente il loro fotografo era andato via per un ritiro religioso e loro avevano bisogno di fare del bianco e nero 13x18 su due o tre quadri. Io non avevo mai sviluppato 13x18 in vita mia, ma andai in negozio e chiesi un po’ di informazioni, poi tornai a casa e passai tutta notte a sviluppare. Il giorno dopo feci delle gran schifezze, ma mi diedero fiducia, anche grazie a Stanislao Farri, un grande fotografo di Reggio Emilia, oggi molto anziano, che nel frattempo avevo conosciuto. L’avevo chiamato dicendogli: Farri, mi piacerebbe conoscerla. E lui mi aveva risposto: vin chè*. Fu lui che, conoscendoli perché aveva lavorato con loro, chiamò i restauratori e disse: se lo fate entrare diventa più bravo di quello là. Quindi per qualche mese feci delle stronzate, ma ci davo della pelle per cercare di imparare e migliorarmi e pian pianino nel giro di non troppi mesi iniziai ad assestarmi sul quel tipo di lavoro. Andavo da Farri a mostrargli le foto e lui mi diceva: Fanno schifo. Non vedi come fanno schifo? Tuttora Farri dice che io sono stato il suo unico allievo. Una volta entrato in questo laboratorio mi allargai a macchia d’olio tramite le loro conoscenze. Non c’era ancora il digitale, si lavorava in pellicola piana. Presi molti clienti importanti, anche fuori regione, e iniziai a investire, a comprare l’attrezzatura che mi serviva o a costruirmela con l’aiuto di un fabbro o di un altro artigiano. Per degli anni accesi un mutuo dietro l’altro. Dopo aver finito di pagare tutti i mutui, scoppiò l’era digitale e impiegai due anni per capire qualcosa.
Non si tratta di fare dei semplici scatti da postare su facebook, io devo riprodurre dei quadri e delle sculture. Il digitale ha massacrato la professione del fotografo. Se prima il lavoro era molto selettivo e la professionalità rispettata, con il digitale è nata l’idea che sia tutto molto semplice, anche se grazie al digitale e alla diffusione che ha avuto la fotografia oggi ci sono molte più persone che si rendono conto della differenza tra una foto fatta con l’iPhone e una fatta con una macchina e una tecnica di un certo tipo. Il fotografo non è solo quello che scatta, deve avere delle competenze, deve saper improvvisare delle soluzioni in situazioni difficili, l’esperienza e la tecnica lo portano a risolvere i problemi e riuscire a fotografare anche in condizioni quasi impossibili. Poi la dimestichezza con il lavoro ti porta ad avere anche un taglio tuo, uno stile. Con il digitale si possono fare delle foto incredibili, nella Cappella Sistina ad esempio, che ho fotografato recentemente, ho fatto un gigapixel, significa fare un fotogramma con proporzione uno a uno, e quindi scattare una grande quantità di fotografie tutte con la stessa proporzione reale che poi compongo attraverso dei software, fino a creare una grande parete non ricampionata, la cui misura non è aumentata ma reale. Un lavoro enorme.
La cosa che più mi piace fotografare sono le sculture. Le persone parlano, si muovono e soprattutto hanno il brutto difetto di essere vive. Chi ti chiede un ritratto è una persona che ha già una certa stima di sé, si vede già in un certo modo e non riesce a vedere se il fotografo ha interpretato bene, e io mi sono rotto le scatole di avere a che fare con gente che mi dice sono venuto male. Se io ti vedo, ti interpreto e ti faccio un ritratto, e magari ti voglio fotografare con una luce dura, perché mi devi venire a dire ho una ruga qui e una là... il ritratto è una cosa delicata. Io ho bisogno dei miei tempi, di creare un mio piccolo set con delle condizioni, e la gente non ha pazienza di aspettare. Penso che ognuno debba razzolare nel suo orto per mantenere alto il livello, e la moda non è il mio mondo, non mi piace. Mi piace la scultura, mi piace lavorare di notte, nel silenzio, con calma. Le sculture stanno ferme, non parlano. Mi piace fotografare. Io faccio fotografia di riproduzioni d’arte. carlovannini.it

Anche io credo che niente succeda per caso. Un giorno andai da un’amica e vidi delle foto ai muri del suo negozio. Le chiesi di chi fossero e mi diede dei libri. Fotografie di sculture e oggetti o animali inanimati molto speciali. Una luce strana li avvolgeva e sussurrava. Quando successivamente pensai alla collana Bizzarro Bazar con Ivan Cenzi, seppi subito a chi chiedere le foto. Chi altri avrebbe potuto catturare in pieno e rendere la bellezza e l’atmosfera della collezione Morgagni? E rileggere ora la chiacchierata con Carlo mi fa capire meglio, a distanza di due anni, quella luce. La presentazione di SUA MAESTÀ ANATOMICA, Museo Morgagni di Padova, avrà luogo martedì 22 novembre alle ore 17.30 presso l’anfiteatro Morgagni (aula Cagnetto) dell’Istituto di Anatomia Patologica in via Aristide Gabelli 61 a Padova. Interverranno Carlo Vannini, Ivan Cenzi di Bizzarro Bazar e i Professori Gaetano Thiene, Alberto Zanatta, Fabio Zampieri, Maurizio Rippa Bonati dell’Istituto che hanno gentilmente collaborato con #logosedizioni alla realizzazione di questo atteso volume. Per maggiori informazioni seguite gli eventi della nostra pagina #ILLUSTRATI o della pagina Bizzarro Bazar su facebook.

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