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BAMBINI D’ORO

di Ivan Cenzi

Gli amuleti esistono dall’alba della nostra specie.
Questi oggetti magici, a cui gli uomini assegnano virtù soprannaturali, hanno il compito di proteggere e assicurare buona sorte a chi li possiede. Espressione di fede per alcuni e di superstizione per altri, onnipresenti a dispetto della nostra società secolarizzata: dai portafortuna che gli sportivi stringono prima di una gara alle croci portate al collo, dai ciondoli recanti simboli e iscrizioni orientali fino ai colorati corni scaramantici della tradizione partenopea.
Tutto sommato, l’amuleto ci appare come una declinazione piuttosto innocua di un desiderio universale: quello di ottenere qualche scampolo di felicità.
Ma non tutti gli amuleti sono così innocui.

Kuman Thong significa letteralmente “il sacro bambino d’oro”.
Divinità della casa per la religione popolare tailandese, deputata al benessere e alla prosperità della famiglia, è venerata dai tempi più remoti; ha resistito all’arrivo del Buddhismo, affiancandosi alle pratiche ufficiali.
La sua effigie, realizzata in legno, pietra o metallo e placcata in oro, raffigura il corpo di un bambino. Viene tenuta in casa, e allo spirito che essa contiene si porgono offerte di vario genere: candele dolci, cioccolatini, latte fresco, riso, uova sode, ecc. Il Kuman Thong è considerato un vero e proprio figlio adottivo, che va coccolato e tenuto al riparo da eventuali tensioni all’interno della famiglia.
E fin qui, tutto bene.

Ma la procedura originale per creare questo potente amuleto non prevedeva affatto l’uso di una statuetta di legno: l’ingrediente base era un autentico feto, morto all’interno del ventre della madre.
Gli antichi manoscritti fornivano allo sciamano precise indicazioni per incidere il grembo ed estrarre il corpicino, che andava al più presto portato in un cimitero; qui lo spirito del Kuman Thong veniva evocato mediante una specifica cerimonia. Una volta che il minuscolo cadavere era stato “posseduto” dalla divinità, bisognava essiccarlo sul fuoco.
Lo sciamano si dedicava poi a verniciarlo con la tradizionale lacca Ya Lak, e lo ricopriva con foglie d’oro. A quel punto l’amuleto era pronto.

Verrebbe la tentazione di considerare una simile pratica magica come una fantasia: anche i grimori occidentali contenevano pittoresche e macabre ricette che sembrano studiate apposta per risultare impossibili da realizzare. Ormai suonano perfino comiche – “lingue di basilisco, sudore di un impiccato...”, cose da Famiglia Addams.
Eppure i Kuman Thong erano del tutto reali. Così reali che anche ai giorni nostri, di tanto in tanto, sul mercato ne spuntano di autentici. E c’è ancora chi cerca di fabbricarli secondo il metodo tradizionale.

Nel 2008 un monaco venne espulso dalla comunità buddhista per aver essiccato il cadavere di un neonato.
Nel 2012 la polizia di Bangkok trovò nella camera d’albergo del cittadino inglese di origini tailandesi Chow Hok Kuen ben sei feti, arrostiti e ricoperti d’oro, pronti per essere venduti a rispettabili uomini d’affari di Hong Kong. Il ventottenne dichiarò che per un singolo “bambino d’oro” i suoi clienti erano disposti a sborsare la cifra di 200.000 baht (circa 6300 dollari).

E mai soldi sarebbero stati spesi peggio: il mercante fu arrestato per traffico di resti umani, provando una volta per tutte che i Kuman Thong non sono esattamente una garanzia, come portafortuna.