Una piccola casa a Ronchi dei Legionari in provincia di Gorizia, le macchine passano tranquillamente senza fermarsi, come farebbe la mia se non avessi un appuntamento. Parcheggio, mi avvicino e sul campanello vedo subito che il cognome è scritto in bianco su fondo nero, una piccola nota che annuncia una bella storia. Il SIGNOR SCABAR e signora mi aprono la porta.
Ho appena finito di leggere Il museo dell’innocenza di Pamuk e sono piena delle sue parole e della sua follia, immersa nella catalogazione dei ricordi della mia esistenza e di quella degli altri, ed ecco che entro in una casa che è museo, biblioteca, baule di tesori e di una vita intera. Oggetti, fotografie e libri si contendono lo spazio, due televisioni in soggiorno, una di fianco all’altra, si dividono equamente la posizione centrale della stanza, anche se una funziona e l’altra non più. Mi fermerei a toccare e fotografare ogni oggetto o composizione di oggetti, alcuni dei quali volutamente coperti di polvere; aprirei le vetrine degli armadi colme di libri d’arte e di fotografia per sfogliarli uno a uno... e inizio a chiedermi quali tesori e quali sorprese ci siano dietro le porte chiuse.
SERGIO SCABAR, nato nel quarantasei a Ronchi dei Legionari, è fotografo per passione, autodidatta: “Ho imparato in privato a fotografare e stampare da solo, facendo i conti solo con me stesso, la mia passione e la mia voglia”. L’interesse è nato vedendo mostre di fotografia. Da sempre appassionato di arti visive, frequentatore di mostre di pittura, scultura, cinema, amante della musica minimalista ma anche classica, non ha mai lavorato come fotografo, si è sempre dedicato alla fotografia come a una sua libera passione, sviluppandola come ricerca personale nel tempo libero che gli lasciava il lavoro: “Non ho mai voluto lavorare come fotografo, volevo essere libero, fare ricerca, e anche per questo non fotografo persone, non sono mai contente e devo dire loro come mettersi. Invece alle bottiglie non devo dire nulla, penso, le sposto, le osservo”.
È completamente antitecnologico e tutti i suoi scatti sono su pellicola che sviluppa in camera oscura. Riconosce che potrebbe essere un problema non avere una catalogazione digitale della sua opera: “Sono l’estremo dell’artigianato, non ho uno studio professionale, lavoro principalmente con la luce naturale del sole, qualche volta con una candela o una lampadina, ho un piccolo altarino dove creo le mie composizioni e scatto. Anche la cornice non la delego, non sono falegname ma prendo cornici vecchie e le modifico, mi piace che siano irregolari, arrotondate, tagliate, spezzate, uniche... mi dà energia, mi piace... Fotografo solo le cose che posseggo, non devono essere prestate ma mie. Vado nei mercatini e quando incontro un oggetto che mi trasmette energia lo compro e lo metto nel mio atelier, dove ho tutto quello che mi serve per creare le mie composizioni, come un pittore. Creo composizioni di cose vere, che hanno un’atmosfera. Devo lavorare sulla realtà e creo solo pezzi unici, nessuna delle mie fotografie è uguale all’altra, la stampa che uso è particolare, uso gli acidi con il mio personale metodo, come il barman che ha la ricetta del suo cocktail speciale di cui nessuno sa gli ingredienti, e così l’acido nella mia stampa va sulla superficie e in dolcezza si fonde creando la luce che cala, per questo la chiamo stampa alchemica. Lavoro sempre a tono basso, un tono che riprendo anche nella cornice scura. L’oscurità obbliga le persone a soffermarsi, più ci si sofferma e più si entra dentro al lavoro, come quando si entra in una sala cinematografica che è tutta buia, e piano piano l’occhio si abitua e inizia a leggere. Le mie opere sono tutte artigianali, uniche. L’unicità per me è una cosa fondamentale”. Le sue fotografie sono sempre di dimensioni ridotte, al massimo 30 x 40 centimetri: “Mi affascina il piccolo. Voglio che le persone si avvicinino, non cerco il colpo d’occhio, ma la riflessione attenta”. Il riferimento nel suo lavoro è chiaramente Morandi: “Per il suo atteggiamento, la sua poetica, la sua semplicità” dice SCABAR serio. Per lui spazio, atmosfera, luce, tutto ha importanza nella fotografia e fuori dalla fotografia, anche l’esposizione o composizione delle sue opere alle pareti è fondamentale per il messaggio che vuole trasmettere, per l’atmosfera che vuole creare: “Le immagini da sole non devono essere messe come tanti soldatini, devono avere una loro energia... Per me ogni foto è diversa, non le posso standardizzare, diventerebbero catalogazione che, pur essendo molto interessante – come quella dell’americano Joel Meyerowitz,* che ha fotografato tutti gli oggetti di Morandi usando la sua stessa parete e creando una catalogazione meravigliosa di tutti gli oggetti di Morandi estraniati da Morandi stesso – è però fredda, e a me la freddezza non piace, per me il lavoro deve essere caldo. I miei lavori sono una fusione fra passato e presente, il passato c’è sempre, per questo le mie foto sono senza tempo e mi piace pensare che il mio lavoro agisca sulla persona che guarderà la fotografia. Per me è importante conoscere il passato, avere un punto da cui partire per poi creare la propria unicità, attraverso la personalizzazione. Per quanto riguarda i miei lavori, ad esempio, molti prima di me hanno fotografato degli oggetti, non ho inventato niente, non c’è più niente da inventare, ma con amore e passione piano piano si trova la propria voce. Per me è favoloso dare ricchezza, contribuire alla fotografia, prendere esempio dai grandi, quelli che hanno qualcosa in più e cercare la mia voce. Io continuo a vedere tutto, vado alle mostre, mi faccio arrivare i libri e i dvd, perché devo sapere, devo conoscere, per forza. È una cosa che mi viene da dentro, la passione, la fermezza nel continuare a fare ciò che voglio come voglio, seguire il mio impulso, il mio istinto. Sono vent’anni che lavoro con questa tecnica e ho ancora bisogno di sperimentare, sempre. Solo la morte è la fine”.
Così esco dalla sua casa museo, che contiene tutta la sua vita dedicata alla fotografia e allo studio delle arti tutte, e comprendo la mia meraviglia quando sono entrata: non semplici scaffali pieni di libri, muri pieni di cornici, pavimenti pieni di vasi di vetro o di ceramica di varie fogge e colori, ma una vita dedicata a una irreprimibile passione. Non capita tutti i giorni di vedere le foglie di lattuga diventare drappeggi rinascimentali, o bottiglie sussurrare il silenzio. Non è comune che le opere incorniciate ed esposte diano la sensazione di un dialogo costante che racconta emozioni e idee. Un piccolo luogo dove incontrare l’arte che dovrebbe essere aperto al pubblico, ed entrare nella lista dei luoghi da visitare di Kemal.
Per vedere la collezione di Scabar senza recarsi nella sua casa/studio o a una mostra, esistono un paio di pubblicazioni* non facili da trovare, oppure il suo sito, ma la verità è che la sua opera, così estranea a qualsiasi tipo di tecnologia, rende solo dal vivo.
* MOSTRA MORANDI’S OBJECTS, Spazio Damiani, Bologna, 23.10.2015 – 1.2.2016, e catalogo: MORANDI’S OBJECTS, Joel Meyerowitz, Damiani.
* SILENZIO DI LUCE, Sergio Scabar, Punto Marte Editore, 2008.