T.B. non ha sesso, non ha età e non ha aspetto. Fa parte però del genere umano. Userò il maschile ma solo perché l’italiano non possiede il neutro. T.B. è sostanzialmente un pensiero in movimento intorno a un’unghia iperattiva. Un pensiero che non vede l’ora di tradursi in parole.
Per questo io compio la buona azione quotidiana e lo ascolto un po’ prima di venire risucchiata dalle mille e inutili occupazioni che finora mi hanno tolto il tempo di pianificare per bene il mio suicidio. T.B. si muove lentamente nella città, ha senz’altro un percorso ben definito nella sua testa, deve essersi fatto una specie di piantina. È facile ritrovarlo da un giorno all’altro, non si sposta di molto. Basta andare dov’era il giorno prima e guardarsi un po’ intorno. A volte può essere necessario camminare un po’. Una volta ho saltato tre giorni perché avevo la febbre e ci ho messo cinque minuti per trovare T.B.
Non si occupa mai di più di una porzione di muro al giorno, lavora di fino. Il suo è un mestiere socialmente utile. Ma la gente non lo capisce ed è per questo che a fine giornata nella scatola di latta che rimane tutto il tempo ai suoi piedi ci sono solo pochi spiccioli. T.B. non si lamenta, li prende e ci fa quello che può. Se li fa bastare. Del resto mangia una volta al giorno perché il suo lavoro non gli lascia il tempo di fare pausa per il pranzo. Quindi mangia solo per cena e poi si infila nella sua coperta rattoppata e si mette a dormire lì, sotto il muro di cui si sta occupando. Lo hanno fatto sgomberare svariate volte e una volta lo hanno perfino portato in questura. Ma fondamentalmente non sanno dove metterlo. Così il più delle volte chiudono un occhio e lui dorme direttamente sul posto di lavoro.
Dunque dicevo che T.B. mangia solo per cena. A volte i soldi gli bastano per un felafel o un kebab, altre volte si accontenta di pane o brioche ormai rafferme. Quando gli va bene un trancio di pizza, quando gli va di lusso una pizza tonda, come si deve. E magari una coca. Niente birra perché T.B. non beve alcolici. Gliel’ho detto tante volte, T.B., la gente non capisce, avvicinati, parlagli, porgigli la scatoletta. Ma lui non se lo sogna neppure. Lui non infastidisce la gente che passa, lui lavora, non chiede l’elemosina. Rende un servizio fondamentale. Dovrebbero pagarlo tutti quelli che passano perché lui tiene puliti i muri della città.
Sedici ore al giorno raschia con la sua unghia. Ma come fa, mi dico, sempre la stessa unghia tra l’altro. L’indice della mano destra. Il dito più nobile, quello con cui si addita, si sceglie, si minaccia. Se lo consuma, a forza di grattare tutto il giorno. Dev’essere in uno stato pietoso. Di solito lui sta appiccicato al muro e le sue spalle mi impediscono di vedere com’è messo il dito senza sembrare ficcanaso. Mentre parla tento delle manovre aggiranti e sbircio varie volte. Il dito mi sembra a posto, come gli altri. Ma non sono sicura.
T.B. vuole scrivere un libro. Me lo ha detto ieri. Per ora non può perché c’è troppo lavoro. Non può fermarsi, trovare carta e penna e metterlo giù nero su bianco. Però lo sta intanto formando nella sua testa e quando abbandonerà per sempre il suo lavoro sarà già tutto pronto e corretto e allora non ci vorrà molto a buttarlo giù. Vogliono tutti scrivere un libro, ho detto a T.B., e mi vergogno molto di averglielo detto perché si è offeso, perché il suo non è un libro sulla sua vita, come scrivono tutti, non è un libro autoreferenziale egocentrico pretenzioso, come quello che tutti prima o poi scrivono, il suo libro non parla di lui, ma è un vangelo, lo hanno già scritto in quattro un vangelo, gli dico, ma non l’hanno raccontata giusta, risponde lui, lo ha scritto anche Saramago dal punto di vista di Gesù Cristo, puntualizzo io, ma non ha detto bene neanche lui, dice T.B., e mi sorprende che conosca Saramago, passi per i quattro evangelisti, lo sanno tutti chi sono, anche i più ignoranti, i libri sacri a dire il vero li conoscono soprattutto gli ignoranti, e in ogni caso non c’è nessuno che non sappia chi erano Luca, Marco, Matteo e Giovanni, non so se li ho messi nell’ordine giusto, io è tanto che non leggo i vangeli, da quando andavo a messa, almeno trent’anni fa per fare la comunione, quindi me li ricordo poco ma quello di Saramago lo ricordo benissimo perché lo sto leggendo adesso e quindi posso vantarmene con T.B., ma T.B. non si è scomposto e io invece sono rimasta a bocca aperta scoprendo che lo aveva letto anche lui.
Ma perché vuoi scrivere un vangelo, chiedo, e T.B. sempre senza voltarsi, gli occhi incatenati alla sua unghia stacanovista, mi risponde, semplice, perché ce n’è un gran bisogno, chi ne avrebbe bisogno, dico io, tu, io, tutti, ribatte lui con sicurezza, c’è bisogno di qualcuno le cui parole pesino davvero, e questo può essere solo il Messia, ma dai ci ha già provato una volta, dico io, e non è andata affatto bene, so di punzecchiarlo in questo modo, temo che questo mio modo di trattare gli argomenti religiosi lo infastidisca non poco, ma voglio capire.
Allora? insisto, ma lui ha già ripiegato la sua coperta, riposto la scatola di latta, incrociato le gambe e appoggiato le mani aperte sulle ginocchia. Che diavolo fai, adesso? Non risponde. Medita. Ha già aperto il terzo occhio e non mi vede più. Forse legge le pagine del suo libro scritte nella sua testa, chissà a che punto è arrivato. Ajna, mi disse una volta, è il nome del chakra del terzo occhio, quello che ti permette di guardare dentro di te.