logo bizzarrobazar colore

L’UNICO CHAKRA

di Ivan Cenzi

“Sono stato da un tizio che ti apre i chakra.”
“Sei pazzo? Guarda che i chakra non vanno MAI aperti! Mai! Solo riequilibrati! E se ti spalanco il chakra anale sul chakra del cuore, hai idea di cosa può succedere?!”
“Be’, sì, intendevo uno che te li riequilibra. Quello intendevo.”
In qualità di “esploratore del bizzarro, del perturbante, del macabro, dello strano e del meraviglioso” (come recita la descrizione sul mio blog – prima o poi dovrò decidermi a stamparlo anche sul biglietto da visita), ho avuto la mia buona dose di esperienze particolari e di incontri con persone eccentriche.
Eppure alle mie orecchie di ragazzo la conversazione qui sopra, assolutamente autentica e annotata con puntiglio sui miei diari dell’epoca, non risultava né particolare né eccentrica. Era la cosa più naturale del mondo, almeno nella mia città, nella mia regione.
Il Nordest che lavorava e produceva, il Nordest in quegli anni ancora florido di imprese, paradossalmente non sapeva che farsene della ricchezza. A guardarle, le file di capannoni sotto il cielo bianco – anche quando erano nel pieno fervore della crescita economica, dico – mi facevano pensare a Coleridge: acqua, acqua in ogni dove, e nemmeno una goccia da bere. La mia città era zeppa di gente che a cinquant’anni aveva tagliato il traguardo del successo, ma si era dimenticata la magia.
E allora, per re-incantare la realtà, si metteva a rincorrere teorie alternative, energie invisibili. Si gloriava d’aver sbloccato il terzo occhio, caricava le pietre sotto i raggi lunari, si cimentava nell’antica (anche se non esattamente utile) arte di camminare sui tizzoni ardenti.
Ogni settimana c’erano nuove conferenze, nuove tendenze, nuovi gruppi più o meno underground; e lezioni, incontri, seminari per imparare a fotografare l’aura, o per scoprire le sorprendenti correlazioni tra la cosmologia egizia e i Vangeli apocrifi (che conservavano ancora un’aria un po’ maudit). Qualsiasi cosa purché fuori dall’ordinario.
Insomma. Li ho osservati bene, i tossicomani dell’esoterismo che non si perdevano neanche uno di questi corsi, li ho studiati perfino, direi che sono stati il mio primo oggetto di indagine. Ho preso parte a sedute in cui si sprigionavano incredibili energie mistiche e conversato con santoni serafici a cui non mancava certo la capacità di replica – anzi, non facevano altro che fornire risposte, da mattina a sera. Non li potevi cogliere in fallo, non erano mai a corto di parole. D’altronde, le parole sono la cosa più facile.
“Gli Atlantidei avevano la pelle blu, erano alti cinque metri e attraverso una tecnologia avanzatissima si impiantavano piccole piante sulle spalle.”
“Uhm... mi scusi, ma come fa a dirlo?”
“Esistono resti archeologici, scheletri.”
“Degli abitanti di Atlantide?”
“Certo, li ha scoperti il nostro profeta.”
“Dove?”
“Oltre la settima porta cosmica. Però adesso basta. Se fai queste domande, è la tua mente a essere chiusa.”
Altra conversazione vera, diligentemente registrata nei miei diari.
Dico che ho studiato queste persone, ma non perché mi sentissi superiore. L’ho fatto perché in un certo senso le comprendevo, ne riconoscevo la bellezza patetica e struggente. Quel loro annaspare alla ricerca di un orizzonte diverso era anche il mio.
Erano benestanti, si erano costruiti una casa, una famiglia, una buona reputazione, così come era stato loro insegnato di fare. E si erano ritrovati con un vuoto spaventoso nell’anima, una rabbia, una smania di ritrovare lo sguardo puro, le illusioni, le sacrosante e necessarie rêveries che una vita di duro lavoro aveva finito per negare. Tutto ciò che chiedevano era poter credere che la vita fosse di più di quello che sembrava. Il loro era un desiderio di trascendenza, e in definitiva cosa c’è di più nobile?
Quell’anelito, che di per sé ai miei occhi era splendido, mi sembrava semplicemente mal diretto e facile preda di chi voleva approfittarsene. Viziato dall’incapacità congenita di immaginarlo, il famoso nuovo orizzonte, di riconoscere la meraviglia quando stava lì di fronte. Non c’era differenza tra il libero professionista iscritto a un costoso corso di reiki e la casalinga che chiamava il mago in TV: entrambi non potevano far altro che affidarsi a narrative preconfezionate da qualcun altro.
E io?
Non sapevo se ci fossero forze arcane e segrete all’opera in ogni istante, se presenze ineffabili aleggiassero su ognuno di noi a spiarci di continuo, alla faccia della privacy. Già solo il visibile – con i suoi paradossi, le sue texture vertiginose e i caleidoscopici infiniti che contiene – mi sopravanzava, mi sommergeva, mi travolgeva, e non sentivo il bisogno che mi si dicesse che “in realtà c’è di più”.
Meglio ancora, che mi si dicesse qualsiasi cosa sul mondo. Tutti zitti: volevo guardarlo con i miei occhi.
Questo ero: l’ennesimo ragazzetto altezzoso convinto di poter fare a meno dei maestri. E continuo a sentirmi così, perfino adesso che ho guadagnato ben più di un pelo bianco e perso l’attenuante della giovinezza. Ma non sono il solo a pensarla in questo modo. Dice qualcosa di simile anche l’unica, vera, illuminata Guida Spirituale del nostro tempo:
“I cosiddetti chakra in verità non sono sette, ma uno soltanto. Esiste solamente il Chakra della Meraviglia.
Quando per gli accidenti del caso, dell’incuria o dell’età matura, il Chakra si chiude, allora il mondo si scolora. Ed ecco che voi correte verso chi vi parla – e vi parla soltanto – dei colori perduti.
Se riuscite a mantenere aperto il Chakra della Meraviglia, invece, sarà il mondo a regalarvi continuo stupore, senza bisogno di parole. E scoprirete di non aver più bisogno di maestri, né di guru, né di iniziazioni o imposizioni delle mani. Perché il vero mistero è quello che state già vivendo, il vero viaggio astrale è quello che state già facendo, su questa palla di fango lanciata nel nero.”
Chi è il Maestro che ha pronunciato queste sagge parole?
Non esiste. L’ho inventato.
D’altronde, le parole sono la cosa più facile.