La luce entra.
Credo solo in ciò che vedo, nella materia.
È il mio limite.
Tra i miei scaffali un giorno d’estate ho conosciuto Daniela. Ne sono stata attratta come una falena dalla luce.
Le sue parole erano lente e brillanti. Ho conosciuto Flavio, raffinato pensatore, ordinato e pragmatico, figlio di un libraio. Strano, penso, che abbia sposato lei, un cataclisma in miniatura. Abitano in Olanda in un paese che non so neppure pronunciare.
Da allora ci siamo scritti. Una corrispondenza di amorosi sensi.
Ogni volta che mi capita sottomano qualcosa che mi fa pensare a loro, la tengo da parte fino al prossimo incontro.
L’incontro arriva, un anno dopo. Lui è troppo magro e tra i suoi ricci ci sono troppi pensieri. Ha in mano una busta con tutte le cose che hanno messo da parte pensando a me. C’è anche un segnalibro rosso, l’invito alle nozze che hanno celebrato l’anno in cui ci siamo conosciuti.
Lei si allontana per un caffè. Lui mi sussurra veloce: “Non sa che te lo sto dicendo, sta morendo, la malattia è ovunque, in ospedale la trattano come un fantasma, non c’è una ragione medica per la quale sia qui”.
Non vi racconterò l’esplosione di ogni mio singolo neurone. Non è la mia storia.
Di lì a qualche tempo lei sa che io so.
Mi racconta di come vive in maniera diversa, di come medita, di come ha acceso i suoi cerchi di luce, di come ogni giorno lei è il suo miracolo.
Ora.
Credo in ciò che vedo.
Vedo ciò in cui credo.
Il limite è rotto. La luce entra.