Urla tutte le mattine. O quasi. Urla così forte che lo sento due camere più in là. E alle sue urla non c’è risposta. Solo muto e rassegnato silenzio. Eppure il mio vicino di casa una famiglia ce l’ha: ha una moglie, ha un figlio ormai grandicello. Ma quando urla nessuno gli risponde. Il mio vicino di casa, oltre che una famiglia ha un vizio, o meglio il vizio peggiore di tutti, per quanto mi riguarda. Il mio vicino di casa è accecato dall’ira. Soprattutto appena si sveglia, alle 7.30 del mattino.
Se credessi nell’aldilà, con il suo bell’Inferno rappresentato alla maniera di Dante, non avrei dubbi su dove spedire il mio vicino di casa. Nel condominio dantesco, gli riserverei un comodo monolocale nella palude dello Stige. Lo lascerei lì dentro ad ardere per l’eternità: il riscaldamento è centralizzato. Meglio ancora, mi piacerebbe pensarlo in un Inferno di tipo barocco, di quelli in cui i dannati hanno a disposizione una metratura molto ridotta rispetto a ciò che si pensava nel Trecento, il suo corpo ammassato su altre centinaia di migliaia di corpi, tutti avvolti dal medesimo fuoco, un fuoco che riassume in sé tutte le possibili gradazioni, le innumerevoli sfumature e i vari dosaggi delle pene: diabolicamente intelligente, selettivo, speculativo, indicibilmente trasformista, arriva al portento incredibile di simulare il suo opposto, il ghiaccio, di farne provare il gelo ardente e il freddo bruciante. Fuoco e sovraffollamento, e promiscuità intollerabile, coabitazioni forzate in un Inferno che è come un lazzaretto, come un ospedale per malattie veneree, un termitaio, un allevamento intensivo di cadaveri, di corpi pressati, lerci, che non hanno respiro…
Invece penso che dopo non ci sia nulla, e che vizi e virtù siano puniti o premiati solo su questa terra. E in fondo, ogni tanto, penso pure che i nostri condomini siano questo, una specie di Inferno – più raramente un Paradiso – in cui i vizi sono tutti ampiamente rappresentati. Mi è bastato leggere Condominio di James Ballard per rendermene conto. Nel 1975 l’autore ipotizza una situazione esplosiva: i residenti di 1000 appartamenti di un grattacielo iper-tecnologico bloccati al suo interno. E, inesorabilmente, l’emergere dei sentimenti peggiori: l’ira montante, nessun intento di collaborazione o di solidarietà. Lui, e altri ancora, mi hanno messo sulla strada giusta. L’aldilà, in un certo senso, è già nei palazzi – al di là della mia porta d’ingresso – e sa riservare innumerevoli orrori: le riunioni condominiali, le proteste per le briciole sui balconi sottostanti, per i cancelletti che si chiudono facendo rumore, per la musica a volume troppo alto, per le risate in terrazza d’estate, per le tende di un colore non uniforme alle altre, per il rumore dei tacchi su per le scale, per gli ospiti a cena in numero superiore a uno.
Eccolo qui, il nostro Inferno immaginato alla stregua di un aldilà. O forse è l’aldilà, che abbiamo immaginato partendo dal nostro inferno quotidiano? Non lo so. Ma intanto il vicino di casa sta urlando di nuovo.