Sono tanti, troppi e il guaio è che non me li ricordo tutti. Sono i novecento nomi dei morti ammazzati per mafia in Italia, che vengono letti quest’anno davanti a migliaia di studenti, nella giornata dedicata alle vittime della mafia e organizzata da Libera. Arrivo trafelata con uno stand ad attendermi e inizio a trasportare a piedi le casse di libri da vendere, tentando di schivare la massa compatta di ragazzi seduti su un prato gigantesco, davanti a un palco. C’è aria di primavera, un bel sole, si sente il vociare allegro dei ragazzi, alcuni sdraiati, altri con le gambe incrociate, altri abbracciati, a grappoli a terra. Una massa sconfinata di ragazzi. Proprio mentre sono nel mezzo di quest’oceano verde con le mie casse ripiene di fruttalibri, al microfono solenne inizia un agghiacciante appello. Cala un silenzio di piombo e per un attimo tutto si ferma. I libri non pesano più, resto sospesa a mezz’aria e mi guardo intorno smarrita. I ragazzi immobili ascoltano i nomi, quei nomi di uomini e donne che sono morti ammazzati in nome della verità. L’elenco va avanti, inesorabile: a leggerlo si alternano gli stessi ragazzi passandosi il microfono, io raggiungo in fretta lo stand e cerco di trattenere qualche nome scrivendolo su un pezzo di carta, ma sono tanti, troppi e quale scegliere? Ha senso citarne solo alcuni?
Proprio in quel momento qualcuno legge i nomi di Borsellino e Falcone, qualcun altro accenna a un applauso poi soffocato. Ha senso applaudire due nomi su novecento? Esiste davvero un nome più importante di un altro, uno che meriti l’applauso invece di un altro? Smetto di scrivere e mi pongo in ascolto. Novecento nomi sono tanti, passano i minuti e inizio a contare i nomi delle donne; sono meno rispetto agli uomini e arrivano altre domande. Intanto i ragazzi, quella folla da stadio assiepata a terra, sembrano impietriti. Immobili, qualcuno inizia a guardarsi intorno, qualcun altro deglutisce, il silenzio assordante colpisce come uno schiaffo davanti a migliaia di persone. Novecento nomi, troppi per provare anche solo a immaginare le loro vite, il vuoto che hanno lasciato, la loro età e la loro lotta personale. Novecento nomi che iniziano ad assediarmi e sembrano non finire mai. Qualche lettore tentenna, qualcun altro si commuove, qualcuno legge ad alta voce e il tempo sembra non finire più.
A un tratto uno scappellotto lì sul prato, una pallina di carta, un aeroplanino. È la vita che torna a farsi sentire. I nomi finiscono e comincia un lungo applauso. Il mio isolamento termina qui, davanti a quest’oceanico applauso, con le mani che battono per minuti fino a fare male, a ricordarci che esistiamo e siamo tutti dalla stessa parte. Mi chiedo quanti di questi ragazzi sappiano cos’è la mafia e quanti di loro sapranno scegliere il coraggio e non la paura. Ora i microfoni si spengono e in una manciata di secondi la folla si volatilizza. Gambe lunghe e affilate che pare un campo di aironi, al posto delle ali zaini e cartelle. E sono ancora loro, col loro modo goffo di andarsene in giro tutti dinoccolati e con magliette da rockettari, a farmi sorridere e ben sperare. Dispongo velocemente i libri sul tavolino scegliendo di mettere al centro Ti chiami Lupo Gentile di Luisa Mattia. Forse perché è una storia di mafia ambientata a Ostia, dove vivo, forse perché ho appena finito di leggerlo o perché i protagonisti sono ragazzi, ragazzini, bambini come quelli che mi scorrono davanti.
In pochi minuti i professori radunano le classi e si avviano verso l’uscita della Casa del Jazz di Roma, sede di quest’incontro. La bellezza di questo parco mi sorprende. E inizio a fare amicizia con i vicini. Che promuovete? “Noi facciamo il Calcio Sociale a Centocelle, un calcio con regole etiche dove l’impegno e il rispetto degli altri, la condivisione, sono al primo posto”. E voi? “Noi facciamo parte del comitato di quartiere di Cinecittà; stiamo raccogliendo firme per evitare la privatizzazione di una stazione dismessa e lasciarla a disposizione del territorio con un progetto alternativo che riguarda la mobilità sostenibile. E poi stiamo raccogliendo firme per chiedere un nuovo asilo, da noi mancano i servizi. E tu?”. Io vendo libri su un tre ruote e non mi arrendo.