Se esiste una figura che si potrebbe definire punk porn star, quella è Bridget Powers.
Nata Cheryl Murphy nel 1980 nella cittadina di Boise, capitale dell’Idaho, Bridget è diventata nota al grande pubblico come “Bridget the Midget” (Bridget la nana) ed è stata introdotta nell’industria pornografica da un amico truccatore. Dopo il suo primo film a luci rosse nel 1999, Bridget ha recitato in più di 60 titoli.
Allontanatasi in seguito dal porno per ragioni di sicurezza – la sua scelta di girare esclusivamente scene con il preservativo si rivelò impopolare nel mondo dell’hard – è apparsa sul grande schermo in diverse produzioni mainstream, ottenendo piccoli ruoli in Confessioni di una mente pericolosa (2002), Tiptoes (2003) e S.W.A.T. (2003). E non solo: ha preso parte a serie TV e reality show, ha suonato per anni in una rock band e da anni ormai si esibisce in spettacoli burlesque come lap e pole dancer nei migliori night club americani. È regolarmente inclusa nella top ten delle persone affette da nanismo di maggior successo.
Questa donna è un concentrato di politicamente scorretto in un metro e diciotto di altezza, a partire dal nome d’arte che ha scelto, midget, che negli Stati Uniti è un termine dispregiativo e ormai tabù tanto quanto “la-parola-che-comincia-per-N” per gli afroamericani.
Ma Bridget non è nuova alle controversie. Nel 2010, la sua lap dance al compleanno di Rihanna attirò le ire dei benpensanti, in quanto la celebre cantante era stata nominata da appena due anni ambasciatrice per la cultura di Barbados: come coniugare il suo ruolo istituzionale con lo spogliarello privato di una pornostar, per di più nana?
Forse la più paradossale delle diatribe è sorta però in occasione dell’allontanamento di Bridget dalla Little People of America, l’associazione non profit per i diritti e il sostegno alle persone affette da nanismo, che evidentemente non ci teneva a essere collegata al comportamento troppo disinibito di Bridget. Secondo quest’ultima, però, la vera motivazione sarebbe stata un’altra: in un’intervista, infatti, ha confessato di essere stata sbattuta fuori perché scoperta mentre, a una convention, era intenta a soddisfare sessualmente una decina di altri soci partecipanti…
Quello che Bridget riesce a smascherare, magari inconsciamente e spesso giocando sul filo dell’exploitation, è il nostro atteggiamento ipocrita nei confronti dei diversi e, più in generale, dei disabili: finché il freak si lascia compatire, o cerca in tutti i modi di superare i propri limiti – cioè essenzialmente riconosce di avere un handicap – siamo disposti ad accettarlo, a commuoverci e perfino ad ammirarlo. La nostra visione pietista viene però messa in scacco da quei corpi diversi che si propongono come degni di ammirazione, belli di per sé, senza bisogno di essere compatiti. Ecco perché il suo atteggiamento disinvolto è talvolta mal visto addirittura da chi subisce le stesse discriminazioni: ogni donna che scelga volontariamente di esibire il proprio corpo viene accusata di “non avere rispetto per se stessa” (quando, di norma, è chi pronuncia la frase a rivelare di non avere rispetto per le scelte altrui); se infine il corpo in questione è reputato osceno, da tenere “fuori scena”, lo stigma si inasprisce.
Bridget non sembra curarsene, e continua per la sua strada. “La gente ti punta il dito contro e ride, e fa tutto ciò che può per indebolirti. Allora puoi fare solo tre cose: puoi lasciarla fare; puoi piangere e deprimerti e scappare; oppure puoi combattere per te stessa e dire: ‘Mi metterò in forma e sarò stupenda’. (…) Tutti guardano le persone cieche o in carrozzella. Io voglio cambiare questo stato di cose. Voglio che la gente mi veda e dica: ‘Guardate, una nana sexy!’.”