logo bibliolibro colore

LA STORIA SIAMO NOI

di Valentina Rizzi

Arrivo trafelata alla Festa del Libro di Ostia per intervenire come ospite e raccontare la mia storia a tre ruote. Aspetto di cominciare quando qualcuno chiede di me. Ripeto le cose da dire, quando alzo lo sguardo e c’è chi mi porge la mano. Una signora giovane, alta, con lunghi capelli scuri e un bel rossetto rosso. “È lei che gira con l’Apetto?”. “Sono io, piacere!”. “Piacere mio, noi siamo qui ecco… abbiamo pensato… abbiamo portato…”. Fatico a capire cosa vuole. Mi accorgo che accanto alla signora c’è una nonnina con la testa imbiancata, che tiene a braccetto sua nipote e mi guarda con pudore. “Mi dica…”. “Non sappiamo a chi rivolgerci”.
Ora interviene la nonnina con una voce di fiaba: “Ho un diario di guerra del 1943, è di mio cognato. Prigioniero di guerra in Germania. Ecco vede?”. Mentre parla sfodera un poderoso diario rilegato in pelle. L’odore è inconfondibile: carta ingiallita, il profumo del tempo mi avvolge. Resto interdetta a pensare cosa c’entro io con tutto questo, ma poi cedo alla curiosità e alla passione. Apro e sfoglio. Entro tra le pieghe della storia, su quei fogli scritti a mano di 73 anni fa. “Vede? Ci sono anche dei disegni. Qui c’è la piantina del campo di concentramento. E ci sono tutti i dati. 600 italiani prigionieri. Mio cognato lavorava in miniera. Questo è lo schizzo degli attrezzi. E qui parla delle privazioni”. Decine di pagine che raccontano giorno per giorno, ora per ora, cosa successe dalla deportazione fino all’arrivo degli americani. Salto all’ultima pagina e inizio a piangere. È il momento più commovente, quello della liberazione. “Troppe me n’hanno fatte i tedeschi. Non potrò mai dimenticare. Viva l’Italia, viva chi ci ha liberati!”. I toni sono bellicosi e minacciano tempesta.
La piantina del campo mi resta davanti agli occhi: un rettangolo con i lati formati da baracche e latrine. Tornando indietro ritrovo il fischio del treno e l’ultimo sguardo verso l’ignoto di chi viene deportato senza un motivo, strappato all’improvviso agli affetti più cari. Sono lì su quel treno che parte, accanto a chi scrive. Stretta in un carro che pare di bestiame, fucili e cani mi circondano pronti a esplodere. Leggo la descrizione dell’arrivo al campo, la polvere nelle ossa, il filo spinato e le misere dosi di ogni pasto, il duro lavoro in miniera e i continui assembramenti al centro del rettangolo per le ispezioni. Passano anni di stenti e angherie, tagliati fuori dal mondo, sospesi tra la rabbia e la paura. La storia m’inghiotte con la sua crudeltà fatta di torture e sacrifici. La porta che si apre, i cieli sorvolati dal liberatore, la speranza e il desiderio di riscatto. C’è tutto ed è tutto vero, così vicino da trafiggermi. Arriva la gioia, che solo chi ha perduto la speranza riesce a ritrovare così copiosa e grande. Lacrime di vittoria al grido di “Io esisto!”.
Mi ci vuole qualche minuto per riavermi e chiudendo il diario riaffido alle candide mani della nonnina la preziosa testimonianza. “Ci scusi, non vogliamo farle perdere tempo… Cercavamo un consiglio. Non vorremmo che se ne perdesse la memoria”. Mi accorgo di essere circondata da una folla di curiosi. Grande stupore. La forza di una testimonianza affidata alle generazioni future. “Mia nipote, ecco avremmo pensato che anche a scuola potrebbe essere utile diffonderlo, per far riflettere, per non dimenticare…”. La nonnina emozionata parla sconnessa, fa una pausa mentre la nipote l’abbraccia. Qualcuno chiede: “Come ha fatto suo cognato a salvare questo diario senza che se ne accorgessero, senza che lo sequestrassero? Ha rischiato la vita!”. “Ecco, vede, era tutto scritto prima qui in un minuscolo taccuino che teneva sempre addosso e poi c’erano altri fogli sparsi che conservo a casa. Mia sorella m’ha lasciato tutto, erano scritti di suo marito e ci teneva più della sua stessa vita. Tornato a casa, suo marito trascrisse tutto su questo diario grande”. Un signore con gli occhiali suggerisce di contattare il Fondo Storico del Ministero della Difesa e affidare a loro questo pezzo di memoria, talmente immenso da lasciarci sbalorditi. Tutti in silenzio di fronte alla storia. E la mia intervista inizia con questa domanda: “Visto l’avvento degli e-book e della lettura digitale, che valore ha per te la carta? Perché ostinarsi a sostenerne il peso in strada su un tre ruote?”.