viveva in un’ala del castello. il castello del paesino dove ho vissuto fino a diciotto anni. e ho il ricordo di lei tutta intenta a spazzare i tre scalini che portavano alla piccola porta di casa sua. ricordo anche che era facile vederla spuntare dal corridoio che affiancava il negozio del tabaccaio e che portava a una strada sul retro della piazza. un corridoio scuro. anche il tabaccaio era scuro. il suo raggio di azione dunque era di circa cinquanta metri. tale era la distanza tra la porta di casa sua e il tabaccaio. non la si incontrava mai oltre. mai al parco poco distante. o al supermercato coop a meno di un chilometro. aveva sempre i capelli agitati. ma immobili. come se si sollevassero in un grido arrabbiato muto. fermo. costante era la sua collera. non l’ho mai vista sorridere. nemmeno una volta. mio fratello da piccolo quando ci trovavamo nel suo raggio d’azione. si teneva stretto stretto a nostra madre. attaccato al suo vestito. e si guardava intorno all’erta. in attesa di vederla comparire in qualsiasi momento. e quando la scorgeva da lontano si infilava tra le sue gambe e tentava in tutti i modi di nascondersi. mia madre ne rideva. e la sua amica con cui prendeva il caffè in piazza tutte le mattine anche. ma nonostante si chiedessero tutte le volte come mai ne avesse tanta paura. non si sono mai prese la briga di trovare una risposta. neppure io ho mai chiesto niente a mio fratello. e devo dire la verità. non ho nemmeno mai pensato che fosse un atteggiamento generale di tutti i bambini quando non erano in squadra. finché ne ho parlato con un’amica del paese. l’altra sera. che mi ha raccontato che tutti i bambini la prendevano in giro. per questo lei era così aggressiva. e non solo la prendevano in giro. facevano a gara per toccarle la gobba. quale gobba? le ho chiesto. io non le ho mai visto la gobba. e lei ha insistito. aveva una gobba. piccolina ma ce l’aveva. e lo sai che toccare le gobbe porta fortuna. poi le ho chiesto se sapeva se era ancora viva. è morta. mi ha detto. tutti i nani muoiono giovani si sa. sei sicura? le ho chiesto. non sapevo che morissero giovani. sì. mi ha detto. hanno una roba al cuore. allora ho controllato su internet. superata la fase dell’infanzia vivono esattamente come gli altri. solo una tipologia di nani muore tra i trenta e i quarant’anni. ma non la sua. lei era una nana standard. ma con il viso non troppo riconoscibile. cioè non aveva proprio i lineamenti dei nani. ma solo le gambe corte e arcuate. le braccia forti e corte anche quelle. la testa grande. ma con quei capelli… chi può mai dire come fosse veramente la sua testa sotto? mi guardo allo specchio. spesso ho la sua stessa acconciatura data dal vento e dall’umore. aveva un figlio. vero? ho chiesto conferma. sì. mi ha risposto. nano come lei. e con chi l’ha avuto? non ricordo di aver mai visto un marito. non ce l’aveva infatti. era sola. viveva sola con il figlio. e se vado a cercarla? è morta fidati. e comunque non vivrebbe più lì. hanno ristrutturato tutto il castello. se è ancora viva l’avranno mandata in una casa per anziani. ma è morta. telefona a sua madre che vive ancora nel paese. e mi richiama. è morta. sono morti tutti e due. guarda che non è vero che i nani muoiono giovani. le dico. sì che è vero. c’è scritto su internet. solo un tipo di nani muore giovane. e allora vuol dire che lei era di quel tipo lì. mi dice. non insisto. no. continua. neanche mia madre sa come si chiamava. non si ricorda. e non sa nemmeno con chi avesse fatto il figlio. ma perché non chiami tu mia madre e le fai tutte queste domande? ce l’hai il numero no? è sempre quello. bah… forse se chiedi alla fornaia… ma non c’è molto con la testa neanche lei. non so chi potesse conoscerla. già.
tutti la conoscevamo come la nana. mi viene da pensare che nessuno si è mai preoccupato di sapere il suo nome. era la nana. e basta. la vedevamo tutti i giorni e nessuno di noi la conosceva veramente. solo ora mi è venuta l’urgenza di sapere. a distanza di oltre vent’anni. come lo vedeva lei il mondo? cosa ne pensava? non saprei dire perché mi interessa saperlo. me lo sono sempre chiesta. ma è come se avessi pensato che fosse immortale. come i miei ricordi. e che ci sarebbe stato un momento in cui avrei saputo. ogni tanto mi torna in mente. come l’ho vista l’ultima volta. con il vestito senza maniche grigio o blu. tipico delle signore del paese che facevano i fatti. sopra al dolcevita scuro anche quello. i capelli le erano diventati bianchi bianchi. candidi. ma la sua faccia non era invecchiata. era la stessa ma con i capelli bianchi. la scopa in mano. davanti ai tre gradini della scaletta che portava alla sua porta. non era arrabbiata quel giorno. ma nemmeno sorridente. era la solita lei. ma con un mezzo sorriso sulle labbra. solo mezzo e nemmeno troppo rassicurante. la ricordo con il sole. e il vento. e le dedico questo numero. e se qualcuno l’avesse conosciuta mi può scrivere e raccontare la sua storia. o i frammenti. o la storia di un’altra nana.