La scatola degli occhi

di Gioia Marchegiani

Ogni primo venerdì del mese arrivava.
Sembrava una bambola vecchia. Capelli crespi annodati come un nido abbandonato.
Pelle rosa sotto l’abito scuro. Un occhio semichiuso dall’infilare l’ago. Un naso piccolo.
Quando ci svegliavamo la trovavamo là, sotto al noce. Seduta. Cuciva e cantava sottovoce poche note, sempre le stesse. Ogni primo venerdì del mese l’aspettavamo.
In fila davanti al suo altare di pizzi e merletti, bambole e pagliacci poggiato su due ruote e un cavalletto. Aperta verso il cielo la valigia delle scatoline. Sembrava un uscir di richiami: trilli e ticchettii e suoni sordi.
- Buongiorno piccolini miei! - ci accoglieva.
- Ciao Signorina Rosa, alla tua bambola manca qualcosa?
- Buondì Paoletto, come sta il tuo pagliaccio? Fammi vedere, cosa gli faccio?
- Ehilà Lucia, cos’è successo? Smetti di piangere che ci penso io adesso!
Coi nostri pupazzi tra le mani in processione. Ora una spilla, un punto o un bel bottone. Senza esser maga, per ognuno aveva la soluzione.
Col suo sorriso di madreperla spalancato. Le sue mani veloci. Pensava, cercava e apriva. Apriva le scatoline delle caramelle finite.
Quanto ci piaceva quel momento, quel gesto, quella sorpresa infinita.
Una in particolare io l’adoravo. “Quella che ti guarda” la chiamava lei.
Quella degli occhi.
Azzurri, marroni, neri o viola.
Tondi ovali o a mezzaluna, stavano lì dentro aperti ma chiusi nel buio di latta.
- Giacomo portami il tuo orsetto senz’occhio. Scegline uno!
Il piccolo dito lento smuoveva e cauto pescava. Non importava che fosse diverso quell’occhio. Il suo lungo ago cuciva lo stesso. Due punti e un nodo. Senza essere maga col suo ago appuntito senza ferire guariva.
E noi che lo sapevamo, l’aspettavamo.

Ogni primo venerdì del mese

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