L’ombrello di sapone

di Anna Masucci

Avevo dimenticato quanto si stesse bene qui sotto.
Avevo dimenticato quanto stessimo bene insieme, qui sotto.
Soffiarlo è stata la cosa più facile del mondo. Ci abbiamo messo anni per finirlo, eppure a me sembrava avessimo appena cominciato. Ogni giorno uno di noi due soffiava una bolla. Ti ricordi la prima? Quando ci siamo conosciuti, una mattina d’agosto, entrambi persi sulla sabbia, entrambi persi nei pensieri. Sono inciampata in un secchiello e ti sono caduta tra le braccia. Tu le hai spalancate. Non potevamo dire di no. Abbiamo passeggiato tutto il giorno e forse anche quello seguente, non me lo ricordo più, con te spazio e tempo svaniscono, come una bolla di sapone. Come le bolle che ci portavamo dietro. Tu nella tasca, io nella borsa. Quel momento non l’ho dimenticato. “Dimmi la cosa che ti piace di più”. “Facile. Fare le bolle di sapone”. “Stai scherzando?”. Ho aperto la borsa e ti ho mostrato il mio tubetto di bolle di sapone. Tu hai infilato la mano nella tasca dei jeans, hai preso il tuo tubetto di bolle di sapone e l’hai accostato al mio. Siamo scoppiati a ridere. Non potevamo dire di no. “Io odio il sole” mi hai confessato. “Io detesto la pioggia” ho ribattuto. È allora che ci è venuta l’idea. Un ombrello di sapone che proteggesse entrambi. Ogni giorno uno di noi due avrebbe soffiato una bolla. A volte ne soffiavamo due, una per ciascuno, a volte una sola a due bocche. Era la cosa più facile del mondo, le bolle uscivano da sole: il primo bacio, il primo ti amo, il primo libro letto insieme, la prima litigata, il primo facciamo pace. Soffiare era respirare, amare era vivere. Quando il mondo diventava insostenibile bastava uno sguardo e ci ritrovavamo subito lì sotto, dove nessuno poteva ferirci, nessuno poteva prenderci.
Poi un giorno hai smesso di soffiare. Dicevi che il tubetto non aveva più acqua, che non avevi più fiato, che eri troppo stanco, che non avevi tempo. Ho continuato a soffiare da sola. “Ha solo bisogno di riposarsi, ritornerà a pieni polmoni” mi sono detta. Ma non sei tornato. Te ne sei andato, ti ho visto da qui sotto quando hai appoggiato il tuo tubetto vuoto e scolorito sul tavolo e hai chiuso la porta. Non potevo dire di no. Ho aspettato che accendessi la macchina e mi sono alzata. Ho preso l’ombrello di bolle di sapone e l’ho piegato, bolla dentro bolla. L’ho messo in una scatola nera e l’ho sistemato in soffitta. È rimasto lì, fino a oggi, mi ci sono imbattuta per caso. L’ho aperto con un po’ di timore.
Avevo dimenticato quanto si stesse bene qui sotto.
Avevo dimenticato quanto stessimo bene insieme, qui sotto.