La carestia, la peste e la guerra sono i tre ingredienti più famosi di questo basso mondo.
(Voltaire, Dictionnaire philosophique, 1764)
Se non fosse per la Peste Nera, oggi forse non stareste leggendo Illustrati. E il mondo così come lo conosciamo sarebbe totalmente diverso.
Il flagello più terribile che la storia ricordi cominciò in una terra lontana, nel centro dell’Asia, dove per qualche ragione vi fu una moria di topi. Le pulci, che fino ad allora avevano vissuto tranquille succhiando un po’ di sangue ai roditori, si ritrovarono di colpo affamate e cominciarono ad attaccare anche l’uomo e il suo bestiame. Le pulci, oltre a essere un fastidio, erano anche portatrici del batterio Yersinia pestis (o, meglio, di una sua antica variante oggi estinta).
L’epidemia cominciò quindi a propagarsi in Cina, per poi correre veloce verso Occidente lungo la Via della Seta; si infiltrò attraverso i maggiori porti del Mediterraneo in ondate successive, cominciando da Marsiglia. Era il 1347.
I genovesi erano sotto assedio a Caffa, in Crimea, e il loro nemico, il khan Gani Bek, utilizzò i cadaveri infetti come primitiva arma batteriologica, lanciandoli oltre le mura della città. Fu così che il contagio, riportato a casa dagli uomini stanziati a Caffa, arrivò anche sulle coste liguri. Contemporaneamente la peste fece il suo ingresso in Italia anche attraverso Venezia e, a sud, dai porti siciliani.
Il bacillo era talmente virulento da spandersi nel giro di brevissimo tempo in tutta Europa. A riprova che fosse una piaga voluta da Dio per punire tutta l’umanità, i bubboni infetti comparivano sull’inguine, sul collo e sulle ascelle dei poveri così come dei nobili, dei notai come dei militari, e non vi era fascia sociale che ne fosse immune. Nessuno era al riparo, nemmeno il Papa. Poiché i medici del tempo non trovavano spiegazioni all’epidemia, ci si rivolse all’astrologia, alle divinazioni, alle mortificazioni corporali, alle immancabili persecuzioni degli ebrei accusati di avvelenare i pozzi.
Non servì a nulla. La mors atra, “morte nera”, nel giro di sei anni (dal 1347 al 1353) uccise 25 milioni di persone soltanto in Europa. Alcune città furono più colpite di altre (a Firenze rimase in vita soltanto un uomo su cinque, Milano invece venne risparmiata), ma di tutta la popolazione presente all’epoca sul territorio europeo, almeno un terzo scomparve a causa del morbo.
La peste nera lasciò dietro di sé un mondo completamente sconvolto: malnutrizione, povertà, malattia, fame, ma anche guerra e inflazione incalzante. Ci sarebbe voluto un secolo e mezzo perché la popolazione tornasse numerosa come prima dell’epidemia.
Eppure, come in ogni cosa, c’era il rovescio della medaglia.
Il sistema del feudalesimo medievale, innanzitutto, non poteva più funzionare: il prezzo dei terreni scese enormemente, quello del lavoro aumentò. Molte proprietà erano state abbandonate, e divennero utili per la pastorizia, che cominciò a conoscere un “boom” rispetto alla più faticosa agricoltura. I contadini e i vassalli, dunque, si trovarono più ricchezze a disposizione e maggiori possibilità di fare carriera; la carne e i prodotti animali comparvero anche sulle mense dei ceti più bassi.
I poveri per la prima volta godevano di alcuni lussi fino ad allora riservati ai nobili – che dal canto loro si difendevano come potevano, promulgando leggi per proibire ai villici di indossare vestiti d’alta classe, e per limitare l’alzarsi dei salari dei lavoratori. Ma l’oppressione dei feudatari aveva le ore contate, e durò ancora poco prima di crollare, e riconfigurarsi poi in modalità più vantaggiose per i vassalli.
La penuria di lavoratori investì e cambiò radicalmente tutti gli ambiti della società (le corporazioni, ad esempio, dovettero acconsentire all’ingresso di nuovi membri) e impose una vera e propria ristrutturazione culturale.
La peste nera non era stata la fine del mondo, come preconizzavano i flagellanti, ma certamente fu la fine di quello medievale.
A fare le spese della peste, infine, furono due oggetti d’uso comune, entrambi simboli antichi e potentissimi: la penna e la spada.
Secondo alcuni studiosi, la carenza di militari favorì l’evoluzione delle armi da fuoco, da poco comparse in Europa, che proprio dopo la peste cominciarono a essere perfezionate e sviluppate. Schioppi, cannoni e artiglierie si sarebbero rivelati nel tempo ben più temibili delle armi bianche.
La penna invece era lo strumento di lavoro degli amanuensi; poiché la peste ne aveva risparmiati pochi, e dunque il prezzo della copia di un libro era ormai alle stelle, si cominciò a pensare a un’alternativa meccanizzata. Un secolo dopo l’epidemia, un certo signor Gutenberg mise a punto la stampa a caratteri mobili.
E la storia moderna senza stampa è impensabile, quasi quanto immaginarla senza fucili.