Elena Borghi

Ho studiato a Brera
Fotografia © Elena Datrino

Fotografia © Elena Datrino

Beauty in Wonderland: Onirica for VOGUE and P&G Prestige

A 15 anni ho capito cos’era la scenografia, io non sapevo neanche che esistesse la parola scenografia, quando al liceo il professore di architettura, che era scenografo, chiese a tutta la classe chi voleva andare a lavorare a teatro (adesso lo chiamano stage) e io e una mia amica siamo andate. Era fuori dall’orario scolastico, stavamo fino alle undici di sera a fare le assistenti di regia dell’opera Il Turco di Rossini. Era la prima opera che vedevo in assoluto. È stato lì che ho capito che era quello che volevo fare.
Quell’estate stessa sono andata a lavorare in un laboratorio teatrale. Ho sempre lavorato. E sono sempre stata pagata. E ho sempre fatto esperienze di scenografia. Adesso non costuma più pagare, ma io faccio una mia lotta sociale. Mi sono fatta dei gran pianti, negli anni ’90. Mi sono sentita sempre molto sola nel mio precariato quando ancora non esisteva la parola. Sono stata fortunata che ho iniziato in anni in cui il lavoro veniva pagato e adesso ho una professionalità conclamata, ma mi è capitato, quando è scoppiata questa cosa del lavoro gratis, che persone venivano da me e mi chiedevano di lavorare per niente, perché sostenevano di darmi un’opportunità. Io credo che se valuti il tuo lavoro zero, valuti anche te stessa zero. Se mi chiami significa che mi riconosci un talento, e questo talento ha un valore. Una volta questi discorsi mi mandavano un po’ in crisi e vacillavo, specie se a chiamarmi erano nomi altisonanti, poi però ho avuto la fortuna di fare un’esperienza come blogger e ho veicolato nel web il mio nome in concomitanza con una certa professionalità maturata nel frattempo, e sono diventata io stessa la vetrina. Io sono sempre stata molto determinata, per me era fisiologico, era come se mi dicessero non puoi più bere, non puoi più respirare.
Sono venuta a Milano con i fondi contati, per studiare a Brera. Bambina e ignara di tante cose ho trovato subito lavoro perché avevo sentito dire che c’era un laboratorio in Brianza che faceva le scenografie per i parchi di divertimento e quindi ho preso questo treno e sono andata in questo posto. Era un magazzino fatiscente, deserto, sporchissimo e c’era un dinosauro in resina a grandezza reale ancora da verniciare. Entrai e dissi al titolare che volevo lavorare, questi rispose - ma non vedi che non c’è lavoro, che non c’è nessuno - e io risposi - ho visto, ma ho anche visto che c’è un gran disordine - e lui mi disse - fai quello che vuoi -. E io iniziai a pulire, a mettere in ordine, a sistemare i colori per tutto il giorno, e il giorno dopo alle 8 del mattino mi ripresentai e lui mi chiese ancora: - cosa vuoi? - e io - devo finire... -. Il venerdì, lui venne da me e mi disse di dipingere il grande dinosauro. Io non ne avevo mai fatto uno, ma lui mi disse una cosa importantissima: - non ti preoccupare perché tanto se sbagli c’è sempre una soluzione - e così sono partita, e ho lavorato in questo laboratorio per tutti gli anni dell’accademia e a vent’anni avevo 15 persone da gestire. Ero responsabile di produzione. Dopo il diploma di scenografo passai alla progettazione e cominciai a lavorare per le agenzie di comunicazione e facevo i mock up, si costruivano le cose finte prima che ci fosse il 3D, dovevo costruire cose strane che non si trovavano. Feci esperienza in una costumeria teatrale all’Arena di Verona e lì imparai a creare oggetti che si vedessero da una distanza di venti metri. E poi mi chiesero da Moschino di fare dei vestiti di carta da spagnola e iniziò una collaborazione che mi ha portato a fare vetrine con loro per dodici anni.
Venne poi la crisi mistica e me ne andai in Australia a fare la cameriera, e per me è stato fondamentale perché con il mio lavoro mi ero sempre chiusa agli altri, l’umana specie mi sfuggiva un po’, e fare la cameriera ha colmato una lacuna, perché avere a che fare con cento/duecento persone al giorno alla fine ti insegna a capire cosa vogliono nel momento stesso in cui entrano dalla porta, e ho sviluppato tutto un lato commerciale che non sapevo di avere. Il 96% delle persone che entravano nel locale non sapevano perché erano lì, loro non sapevano cosa volevano mangiare e glielo dicevo io! E mi sono chiesta come mai, se riuscivo a vendere un Brunello di Montalcino alle tre di pomeriggio di un mercoledì, non ero mai riuscita a vendere me stessa? E piano piano, dopo una chiamata di Moschino, tornai in Italia, tornai al mio lavoro.
Adesso che sono baricentrata, che sono in bolla con me stessa, ho capito che tutto ciò che mi è accaduto e che ho vissuto mi è servito. Il fallimento, non esiste. Ciò che per te è fallimento, per me è esperienza. Fallimento è una parola che dovrebbero bandire. Chi mi incontra ora è come se mi conoscesse, perché io sono quella che si pone in modo diverso, ed è ciò che le persone vedono. Ho affinato le mie capacità analitiche, credo che sia importante, giro la faccia e mi guardo dentro. Se ti conosci meglio, capisci meglio gli altri, e per me è fondamentale perché io lavoro solo su commissione. Il mio scopo non è fare le cose per me, io le faccio per gli altri, non ho attaccamento, nel momento in cui le monto e le installo, non sono più mie. Mi piace la caducità. Quello che faccio ha lo scopo di comunicare delle cose, dei messaggi, che sono più o meno chiari. Alcuni mi chiedono di scriverli, questi messaggi, per renderli comprensibili, ma io non voglio perché qualcosa arriva comunque, sono degli archetipi. Siamo talmente abituati a sentire quello che dobbiamo pensare... - Elena - mi dicono le persone - Io voglio sapere quello che tu volevi dire, perché è quello che va pensato -. Frutto di anni di indottrinamento, si sentono sbagliati se non pensano esattamente ciò che ha pensato l’autore. Tagliare la carta per me è un mantra. Io coltivo la pazienza perché ho capito che questa cosa ti porta a vedere le cose da un’altra prospettiva, e scelgo di tagliare 2000 libellule a mano. Quando poi guardo i miei lavori passati, mi ricordo esattamente in che periodo ero. La lentezza di un processo che può essere di un ricamo, di un mosaico, fare delle cose ripetitive ti porta a un punto in cui non pensi più a quello che fai, come lo yoga...

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