Il mio primo fumetto mi fu regalato da mio padre quando avevo due anni. Asterix il gallico. Ho imparato prima a leggere i disegni, poi le lettere, ma è stato amore a prima vista, un amore che ancora oggi non tradisco, e di recente ho conosciuto un uomo che mi ha detto ridendo: “In Asterix troverai tutte le risposte...” e così dopo Asterix ho letto tutto quanto mi sia capitato a tiro negli ultimi quarant’anni. Alcuni fumetti mi sono piaciuti, altri no, ma è un’abitudine che non ho mai perso e che spero di non perdere mai. Quando sono entrata nel fantastico mondo dell’editoria e nel misterioso universo della distribuzione, perché i libri non basta farli, bisogna anche venderli (e #PORCAMISERIA non avete idea di quanto sia difficile), mi è sembrato normale andarmene in giro a osservare librerie e fumetterie, le due tipologie di negozio che dovrebbero vendere i libri #logosedizioni, e ho scoperto che esistono tanti mondi paralleli che proprio come le rette non si toccano mai, anche quando credi che sia scontato un loro incontro in un qualche punto dell’orizzonte. A proposito di uno di questi mondi, la fumetteria, scrivo sui miei FORTUNATI incontri tra novembre e dicembre 2014.
Il primo incontro l’ho avuto con Alessandro Pastore, che dà il nome a una delle mie fumetterie di riferimento a Bologna.
Il secondo incontro l’ho avuto invece con Peter Birkemoe, l’attuale proprietario di The Beguiling di Toronto, fumetteria di riferimento in Canada, ma soprattutto padre di Little Island Comics, la prima fumetteria per bambini del mondo (forse).
Spero che le righe a seguire vengano lette non solo da chi ama l’illustrazione e il fumetto come me, ma soprattutto da librai, bibliotecari, editori, distributori, edicolanti, e tutti coloro che come me con i libri ci lavorano. Non voglio predicare nulla a nessuno, e non possiedo verità assolute, ma è nelle domande e nelle molteplici risposte che a volte si trova la soluzione o anche solo uno spunto.
“Io ho iniziato collezionando, a 11 anni, e il mio primo fumetto è stato Diabolik. In famiglia nessuno leggeva fumetti, a me però piaceva. A Bologna avevamo una biblioteca ai Giardini Margherita, c’era una casa bianca, c’è tuttora, e quella fungeva da biblioteca. Io andavo e leggevo” così Alessandro inizia il racconto della sua vita e della sua carriera. “A me piacevano i fumetti. Leggerli, averli per poi rileggerli, e collezionarli, ma non me li potevo permettere tutti e quindi avevo trovato il sistema di procurarmeli a meno, andavo nelle cartiere o alle raccolte della carta, dove li potevo comprare al chilo. La gente all’epoca buttava via tutto, adesso forse ci sta più attenta, cerca di riciclare in qualche modo. Dopo Diabolik ho iniziato a collezionare tutto quello che c’era in quel momento. Il collezionista parte dall’amore per qualcosa: il disegnatore, la storia... e inizia a interessarsi a tutto quello che c’è su quell’autore o sceneggiatore. Poi passa al genere, e poi spazia in tutte le direzioni, ma tutto nasce da una curiosità e dal piacere, che non hanno limiti.” A 18 anni apre il suo primo negozio di fumetti, in via del Pratello a Bologna, senza denaro, senza nessun aiuto economico se non le sue idee, già ben chiare, e un grande amore per il lavoro. Dopo due anni deve prendere un locale più grande. E dopo dieci anni crea l’ingrosso. “Non mi sono mai tirato indietro sul lavoro” mi dice, e io gli credo, si vede nella determinazione del suo sguardo che è uno che non scherza. “Nell’81, quando ho creato la distribuzione, a Bologna c’erano venticinque fumetterie, ma tutte vendevano solo usato. Per il nuovo o andavi in edicola oppure in libreria ma solo per i grandi editori come Mondadori e Rizzoli. Non esistevano fumetterie che vendessero fumetti nuovi perché non c’erano gli editori che facessero fumetti e che andassero su tutti e due i canali: o andavi in edicola o andavi in libreria. Così quando negli anni ’80 ho iniziato a importare fumetti francesi e americani, e mi sono reso conto che neppure le librerie lavoravano bene i fumetti, ho contattato gli editori che pubblicavano fumetti per l’edicola e ho iniziato a venderli in negozio, e insieme a me hanno iniziato anche altri negozi, e nell’arco di qualche anno le fumetterie sono aumentate e gli editori hanno iniziato a lavorare con questi nuovi negozi.” In poco tempo Alessandro diventa fumetteria specializzata, editore e anche distributore per le altre fumetterie che sono state aperte in Italia, fino a che nel ’96 si ritrova con trenta dipendenti e, non avendo figli per scelta, decide di vendere la distribuzione alla Panini. “Volevo e voglio continuare a lavorare” mi dice “perché mi piace, ma voglio anche godermi la vita. Sono quarantatré anni che lavoro.”
“La Panini figurine esiste dal ’64” mi spiega “ma la Panini Comics nel ’94 e la Star Comics prima ancora sono nate qui, nei miei uffici del piano superiore. Erano di Bologna, dovevano organizzarsi, mi hanno chiesto aiuto e io gratuitamente le ho aiutate.” Dopo che mi ha raccontato la sua storia e parte della storia del fumetto in Italia anche se a grandi linee, capisco che quest’uomo per esperienza di vita e lavoro è un incontro chiave per capire le dinamiche del mondo editoriale in Italia, soprattutto per la sua disponibilità e chiarezza nell’espormi la sua visione delle cose. Il perché delle cose, come piace dire a me. “Perché in Italia si leggono pochi fumetti?” gli chiedo. “In Italia ci sono stati due problemi. Prima di tutto il fumetto era caro. Il primo Topolino costava un patrimonio, chi poteva comprarlo? Solo poca gente che aveva dei soldi, infatti in Italia abbiamo avuto una classe altolocata che poteva permetterseli, e tuttora chi legge e compra fumetti sono studenti universitari, professionisti. Non il muratore... E in secondo luogo il pregiudizio: se i miei genitori mi trovavano a leggere un fumetto mi dicevano ‘Smetti di leggere quella roba, studia... stai perdendo tempo... fai qualcosa di più utile... ’ perché in Italia è sempre stata un’attività associata all’ozio, anche quando si parla di lavoro, ma la maggior parte delle persone non sa cosa sia un fumetto. Quelli più dotti pensano a Topolino, Tex, Diabolik, ma i più non pensano a nulla perché non li hanno nemmeno mai aperti. Invece in Francia è un’altra cosa, e lo possiamo vedere anche dai numeri. Per esempio Asterix, quando c’erano tutti e due gli autori ogni nuovo episodio vendeva 20/30mila copie in Italia, che sono cifre da best seller, ma lo stesso libro in Francia o in Germania vendeva 2 milioni di copie... la differenza sta nel fatto che il fumetto in Francia è nella scuola, nella biblioteca scolastica, e se andiamo ad Angoulême, che corrisponde alla nostra Lucca Comics, anche se molto più famosa, troviamo il governo perché la politica ai massimi livelli partecipa al festival del fumetto, e le televisioni nazionali sono presenti tutto il giorno dandogli una rilevanza che qui non ha, e questo non può che riflettersi nei numeri che vi ho appena detto, o nel valore delle tavole originali dei disegnatori, un mercato che in Italia non funziona. Inoltre la scelta delle librerie è molto ridotta, è materiale distribuito dai distributori per libreria, e lo lavorano solo come novità, e le fumetterie, che sono in fondo delle librerie, non sono servite dai distribuiti per librerie. Ci sono sempre state due strade parallele, una per le fumetterie e una per le librerie. Adesso poi la maggior parte delle nuove e giovani fumetterie è nata da collezionisti di manga e altri gadget legati sempre al mondo del manga e dell’anime giapponese, e questi giovani purtroppo guardano più alle copie vendute che non al margine di guadagno di ognuno dei libri venduti, perché se è pur vero che vendono molti più manga che fumetti d’autore, perché costano anche molto meno, è anche vero che il margine è diverso, e devono vendere molti più manga per creare lo stesso margine che dà loro un fumetto d’autore, per non parlare poi dell’impoverimento della scelta e del fatto che lasciano fuori tutta una fetta di pubblico che potrebbe entrare nei loro negozi e che è disposta a spendere somme di denaro più alte. Così come chi vende fumetto d’autore e non vende manga lascia fuori dalla porta molti giovani che potrebbero entrare e magari deviare su altre cose nel tempo. Io sono partito da un presupposto semplice: perché una persona di Palermo, Lecce o Torino deve venire da me se ci sono tante librerie e fumetterie? E la risposta è: perché da noi c’è tutto. Se c’è un fumetto che non vende io una copia la devo avere, e così sono sempre tra i primi dieci elencati su google. Io tengo tutto, ma è anche vero che ho 1500 metri quadri e inizio a essere strettino, ma per gli altri negozi, quelli che hanno meno spazio, ho creato la distribuzione, sia del nuovo che del vecchio.” Devo però evidenziare una cosa molto importante e fondamentale per la buona riuscita di una qualsiasi attività commerciale: Alessandro non è solo un amante dei fumetti e un collezionista, è soprattutto un uomo pratico e intelligente con una simpatia per la matematica. “I numeri per me sono molto importanti, e mi viene naturale cercare di capire dove possono essere le perdite. Ho sempre saputo fare girare bene i numeri, non ho mai lavorato con i soldi della banca, pur non avendo soldi quando ho iniziato. La prima cosa è lavorare bene. Come faccio a vedere se ho lavorato bene? Se sono stato bravo alla fine devo avere degli utili. Se non ci sono utili ho sbagliato qualcosa. Ma per esperienza so che è raro trovare qualcuno che sia appassionato del nostro prodotto e che sappia anche lavorare con i numeri. I librai o sanno i numeri o sanno i libri.” A questo punto ho approfittato subito per chiedergli come mai, se le donne primeggiano generalmente nella lettura in generale, nel fumetto invece sono nettamente inferiori agli uomini? Perché le donne comprano meno fumetti degli uomini? Perché il fumetto è considerato per uomini? Tutte questioni che non mi ero mai posta prima di pochi mesi fa, quando mi sono sorpresa del fatto che i fumetti #logosedizioni si vendessero poco e che la causa principale fosse perché sono di gusto più femminile che maschile. E come avrei potuto? Sono stata iniziata così piccola ai fumetti senza distinzione di sesso – perché a regalarmeli era mio padre e mi regalava i fumetti che piacevano a lui – che non ho mai lontanamente pensato che il fumetto avesse un genere, e ogni giorno mi scontro con il fatto che spesso do per scontato che il mio piccolo universo debba per forza essere uguale a quello degli altri, ed è sulla base di questo universo che faccio analisi, osservazioni, calcoli, prospettive e sogni, in assoluta, totale e arrogante ignoranza, ma almeno ho la fortuna di fare buoni incontri. “Il pubblico femminile è venuto con il giapponese, le donne che frequentavano le fumetterie erano molto poche, sono cresciute a partire dagli anni ’80 con i cartoni animati giapponesi in televisione. Perché i fumetti che uscivano nell’anteguerra e nel dopoguerra erano di avventure e meno adatti alle ragazze, poi sono iniziati i supereroi ma nemmeno questi erano molto amati dalle ragazze. Successivamente sono iniziati i libri, i cartonati, più adatti a entrambi i generi e questo ha portato a un aumento delle lettrici, ma i numeri erano molto ridotti per prendere una fetta importante di pubblico femminile. Invece quando i cartoni animati giapponesi che davano alla televisione si sono trasformati in carta stampata e sono stati tradotti in italiano, le ragazze sono arrivate in fumetteria, e nel caso dei manga il pubblico è infatti più femminile che maschile. Adesso ci sono anche ragazze che leggono i supereroi, e alcune si sono spostate anche verso altri generi, ma il manga resta il genere prediletto. Il pubblico femminile arriva infatti fino ai quarant’anni circa. E poi il mercato dei fumetti è per i collezionisti, più che per i lettori, e i ragazzi per natura collezionano, le ragazze molto meno. Le ragazze leggono, approfondiscono, ma raramente accumulano, anzi sono quelle che quando possono rivendono. Il ragazzo invece colleziona, accumula e a volte sbocca nel fanatismo e vuole avere tutto e in condizioni immacolate. Stando in fumetteria si vede di tutto. Negli anni si sono comunque ridotti i collezionisti fanatici, probabilmente per l’alto costo degli immobili. La gente tende ad avere case sempre più piccole e quindi ha meno spazio. È frequente qui vedere gente che deve vendere le proprie collezioni perché si deve trasferire in uno spazio più piccolo. Per fortuna ci sono ancora tanti collezionisti, ma non so dire se sono più i collezionisti o i lettori. Sicuramente sono collezionisti quelli che sono più grandi, che hanno un lavoro e iniziano ad avere collezioni più consistenti, prima è solo una ricerca di quello che piace di più. Dai 20 ai 30 anni sono lettori, superati i 30 molti comprano e collezionano, ma leggono meno.”
Ringrazio Alessandro per il tempo e l’esperienza che mi ha concesso il giorno 25 novembre 2014.
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