Anelavo alla catastrofe.
Guardavo il cielo, aspettando che cadesse.
Tutto quanto.
Volevo sentire il fragore delle nuvole schiantarsi nel fango,
volevo essere risucchiata da un vortice e spazzata via,
in verticale, quasi fossi una parola crociata:
bambina stravagante, 7 lettere.
I miei piedi stavano immobili dentro al ruscello.
Erano bianchi, erano piedi in crescita, strani.
I girini ci giravano intorno.
Tuttavia continuavo ad anelare alla catastrofe.
Guardavo il cielo, aspettando che cadesse.
Invece il cielo temporeggiava.
Spandeva nuvole come carità e mi guardava severo
con l’aria distratta di un padre stanco.
Io pregavo Gesù.
Gesù, ti prego, invita l’uragano alla mia tavola.
Fallo precipitare in verticale, quasi fosse una parola crociata:
uragano per Cecilia, due volte 7.
Invece Gesù dimorava altrove.
Ma io non gliene volli, aveva le stimmate,
aveva i buchi dei chiodi e io perciò l’ho sempre perdonato.
Quindi, nel bel mezzo del trionfo del buio
che spaventa e invita a rincasare,
io feci a meno della catastrofe.
Fu un momento delicato.
Come delicati furono gli anni a venire.
Punte di piedi, diavoli e danze,
ma tutto, tutto quanto con la percezione
del tempo che cambia,
del tempo che diviene.