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SEPOLTI VIVI

di Bizzarro Bazar

Nel 1951 nel piccolo villaggio polacco di Babie Doly, a una trentina di chilometri da Gdynia, alcuni operai stavano ancora lavorando per rimuovere le macerie lasciate dalla Guerra. Le loro ruspe, tra i frantumi e le rovine, incontrarono degli enormi lastroni di cemento armato: si erano evidentemente imbattuti in una struttura militare sotterranea, come tante altre rinvenute nell’area. Sollevarono una di queste pareti, scoprendo l’entrata di un bunker per lo stoccaggio dei viveri, abbandonato dai nazisti durante la ritirata dalla Polonia, avvenuta sei anni prima. Ma, con grande sorpresa degli astanti, ecco che due uomini emersero dal sottosuolo. Accecati dalla luce, e con le barbe lunghe fino al ventre, erano in evidente stato confusionale. Uno dei due cadde morto stecchito non appena la luce del sole raggiunse i suoi occhi. L’altro, invece, venne soccorso e, dopo essersi ripreso, raccontò una storia davvero agghiacciante.
Era un soldato tedesco di trentadue anni. Nel 1945, lui e altri cinque compagni si trovavano nel deposito dei viveri quando le loro stesse truppe fecero saltare l’entrata con la dinamite. I sei uomini si ritrovarono quindi intrappolati fra le pareti di cemento armato del bunker, senza utensili per cercare di scavare una via di fuga. Nella sfortuna, potevano almeno contare sull’aria, che entrava da una ventola di aerazione rimasta miracolosamente intatta dopo l’esplosione; inoltre gli alimenti ammassati là sotto sarebbero bastati a garantire la loro sopravvivenza per anni, nell’attesa che qualcuno arrivasse a liberarli. Ma l’eventualità di essere rintracciati si faceva sempre più remota: una Guerra mondiale era appena stata persa, e con ogni probabilità i loro nomi erano stati depennati come dispersi in battaglia: erano solo altre sei vittime in un conflitto che ne aveva causate a milioni.
I sei bevevano l’acqua piovana che filtrava attraverso le crepe nei muri e gocciolava dal soffitto e a volte capitava che, per lavarsi, utilizzassero una bottiglia di vino del Reno, presa dalla dispensa. Pochi mesi dopo essere stati imprigionati nel sottosuolo, due di loro non riuscirono più a sopportare quella situazione e si suicidarono. Gli altri, non potendo fare di meglio, chiusero i cadaveri in due grandi sacchi per la farina.
Qualche tempo dopo, altri due soldati si ammalarono e morirono per cause sconosciute. Rimanevano solo due superstiti, tagliati fuori dal mondo, sepolti insieme a quattro cadaveri e con la prospettiva di finire la loro esistenza in quella terribile prigione.
I giorni passavano, uno dopo l’altro, finché nel 1949 finirono le scorte di candele. Arrivò l’oscurità perenne, e non fu più possibile distinguere il passare del tempo. È facile comprendere come, in questi frangenti, anche la mente più forte rischi di vacillare o perdersi definitivamente nella follia.
Trascorsero altri due lunghi anni, la vita in superficie era ripresa, c’era un Paese devastato da ricostruire. Ma sotto terra, nella loro tomba, i due uomini ormai non parlavano più. Forse talvolta, rompendo il silenzio, uno dei due blaterava qualcosa per accertarsi che l’altro fosse ancora vivo. Probabilmente di tanto in tanto avranno anche sentito dei rumori, le vibrazioni di un autocarro che passava lì vicino, avranno forse tentato di gridare, ma inutilmente. Le loro voci, come le loro vite, erano sigillate fra le pareti del bunker.
E infine, la liberazione: come dicevamo, dopo sei anni passati sotto terra, il cuore di uno dei due superstiti non resse allo shock. L’altro soldato, di cui non è stato tramandato il nome, ma che diede prova di impressionante fermezza nella sopravvivenza, riemerse alla vita.
Il suo racconto sembrò inverosimile perfino agli ascoltatori polacchi. Calatisi nel bunker, trovarono però quattro grandi sacchi di iuta che contenevano altrettanti cadaveri di soldati tedeschi, quasi perfettamente mummificati dall’aria asciutta del sotterraneo.
La storia, riportata dalla United Press, ha ispirato due film: I cinque del bunker (1958), in cui l’episodio è trattato come una bufala che un giovane giornalista inventa di sana pianta per coprire l’assenza di spettacolari scoop dal fronte, e Il bunker (1973), da un omonimo romanzo sulla vicenda, che trasferisce gli eventi dalla Polonia alla Normandia e vede come protagonisti Peter Sellers e Charles Aznavour.