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Un gioco di specchi

René Magritte, Sir Edward James, E.C. Escher, Ray Bradbury
La Réproduction interditeRené Magritte, 1937

La Réproduction interdite
René Magritte, 1937

Chiamavano René Magritte il sabotatore tranquillo per la sua capacità di sovvertire pacatamente la realtà.
Nel 1937, nel suo dipinto La Réproduction interdite, ritrae un uomo di spalle che si riflette in un grande specchio poggiato sul ripiano in marmo di un camino. Sulla mensola, Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe. Dentro la cornice dorata il riflesso non è quello che dovrebbe essere, l’immagine è un’eco di ciò che noi stessi vediamo: la schiena e la nuca.
Quell’uomo senza volto è Sir Edward James, un colto mecenate inglese aderente al movimento surrealista. Edward è smodatamente ricco ed è amico degli esponenti più in vista dell’alta società, nonché scrittori, musicisti e naturalmente artisti.
James scrive poesie e finanzia spettacoli teatrali ma la sua vera passione è la pittura. La sua collezione di dipinti è leggendaria: possiede opere di Bosch, De Chirico, Dalí, Ernst, Magritte, Klee, per citarne alcuni. Ma Edward venderà tutto per dedicarsi al suo progetto più ambizioso, la costruzione di una città-giardino nel bel mezzo della foresta messicana, vicino alla cittadina di Xilitla: Las Pozas, un paesaggio onirico realizzato come spesso ripeterà “senza abbattere un albero o recidere un fiore”, nel pieno rispetto della natura selvaggia circostante.
Al termine dei lavori, una superficie di venti acri di foresta è costellata da stravaganti strutture in pieno stile surrealista. Nel mezzo della vegetazione incombente ci sono scale che non conducono da nessuna parte, torri azzardate e inaccessibili, ponti sospesi sul nulla e terrazze improbabili, un vero e proprio labirinto costellato da pagode, voliere e gabbie sempre aperte, semplicemente varchi, luoghi di passaggio. Così come le architetture stranianti di Escher, le costruzioni di Las Pozas lasciano un senso di smarrimento e nello stesso tempo di incanto a chi ha il piacere di visitarle. Ray Bradbury scrive: “Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore (…) un figlio, un libro, un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani (…), qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo”.
Sulla sua tomba a West Dean, in Inghilterra, sta scritto semplicemente “Edward James 1907–1984. Poeta”.
Ma di quell’uomo cosa rimane?
Una figura di spalle dipinta da Magritte e un sogno, il suo surreale autoritratto: la città impossibile nella foresta, che riflette e conserva la sua volontà, il suo contributo all’immortalità.
Ognuno di noi dipinge se stesso.