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OBJECTS IN MIRROR

di Valentina Rizzi

Objects in mirror are closer than they appear. Gli oggetti attraverso lo specchio sono più vicini di quello che appaiono. Dice così una frase stampata sullo specchietto del mio tre ruote. Lo scopro per caso attraverso una foto scattata da Aldo Marinelli per La mia Ostia, rubrica del quartiere dove vivo. Da un po’ di tempo a questa parte sono in molti a fissare frammenti di strada mentre sono sul mio tre ruote. È difficile sentirsi al sicuro su questo trabiccolo. La libreria nel portabagagli impedisce la visuale sul retro. E allora rimane soltanto lo specchio laterale per fare manovra, per parcheggiare, per accorgersi di aver creato il panico in strada andando a una velocità di crociera di circa quaranta kilometri orari. Porto in giro storie che pesano, come i sogni che ti porti dentro. Lì su Bibliolibrò non ci sono vetri sopra le portiere, non ci sono barriere. Ci sei tu e la strada e tu sei completamente in balìa di chiunque passi, nel bene e nel male. I vu cumpra’ ti aspettano al semaforo, infilano le mani nell’abitacolo, fanno domande sul contakilometri, riconoscono che il mezzo è simile ai tuc-tuc nel loro paese e scambiano il tuo interno per un salotto. È sempre un’esperienza sensoriale quando ci finisci dentro. La cosa che mi piace di più sono i racconti che ti dona ogni persona che incontri. L’ape richiama ricordi dei tempi di guerra, storie di casse di ciliegie e incursioni clandestine di vettovaglie tra le campagne sequestrate. La strada è oltre lo specchio. Riflette frammenti di umanità che ti passano accanto, anticipandoti il prossimo incontro. E quello specchio diventa il centro del tuo universo anche quando di notte, al semaforo, attendi il tuo verde per attraversare l’incrocio e tornare a casa dopo una serata di mercato a Ostia Antica.
Stracarica di libri ed espositori, prolunghe e fari da bancarella, sei lì che aspetti il tuo turno davanti a quel rosso e ti guardi intorno attraverso l’oblò. C’è un energumeno riflesso lì dentro, tatuaggi sul bicipite palestrato, orecchino al lobo destro, bocca sepolta da una foresta barbosa. Lo specchio tradisce una distanza che in realtà non esiste. Sento i suoi piedi puntati sull’acceleratore, il rombo stratosferico del suo motore che prende le misure prima del via. “Che voi tira’?” mi dice con aria di sfida, minaccioso. È davvero grosso e io sono lì che lo guardo pensando di non potergli in alcun modo sfuggire. Il tizio mi guarda male. La mia lentezza è disarmante per chi, come lui, è abituato ad alte prestazioni sull’asfalto. “Scusa ce l’hai con me?”. Avrei potuto fare finta di niente, ma il suo strano gergo di borgata m’incuriosisce. Così lui ripete: “Che voi tira’?”. Tradotto sarebbe: “Facciamo a gara?”. Ora capisco che mi sta prendendo in giro, più che altro a divertirlo è il mio essere lumaca accanto al ghepardo. In effetti è così che mi sento anch’io: due minuscole antennine in mezzo alla foresta. Una grossa, grassa risata impazza sul suo viso, che scioglie la sua posa da duro facendolo sembrare un gigante bambino. Seduto sul suo bolide decappottabile, un braccio completamente fuori, gesticola ammazzandosi dalle risate mentre prosegue. “Ma ’ndo l’hai trovato sto coso? Funziona?”. Eh be’ sì ora è un po’ carico, penso imbarazzata, ma non ho il tempo di rispondere. “Ma da ’ndo vieni? Che so’ tutte quelle cose?”. Ehm difficile spiegarlo in due secondi prima che scatti il verde, penso un po’ spaesata, mentre il mio compagno, che mi segue in macchina, fa roteare i suoi fari abbaglianti pronto a entrare in azione. “Sì funziona, ma va a trenta all’ora. È pieno di libri”. “Libri? Ah ah ah, ciao bella!”.
Il rosso scatta via, il bolide inizia a sfrecciare e oltre lo specchio vedo il tizio sbracciarsi. È il suo modo di salutarmi. Chissà dove te ne vai, tu e i tuoi tatuaggi, a duecento all’ora, mentre io qui ingrano le marce e do un occhio alle buche. È buio da un pezzo e la strada c’inghiotte col suo silenzio fatto di stelle. Ogni tanto l’oblò mi rimanda immagini di libri che sballonzolano nel retro, o di roboanti fuoriserie che tentano di sorpassarmi mentre arrivo a Ostia. Sul lungomare già la movida imperversa, con il suo misto di chioschi e bazar, le luci s’infittiscono e il chiacchiericcio dei ragazzi supera il fragore delle cicale. Inizia a piovere, non ci voleva. Curvo a tutta birra, rischio di ribaltarmi, la gente mi indica divertita, un’ultima voragine e il cerchio si chiude. Saracinesca alzata, siamo finalmente giunti al Bibliobox. Il pronto soccorso dei libri sfogliati da giovani pesti incallite. Qualcuno oggi ha capito che i libri vanno accarezzati e non presi a cazzotti mentre a rimetterci era più di una pagina. Quanti libri oggi? Faccio la conta di quelli che andranno a ingrossare le fila del reparto biblioteca. È il destino di tutti quelli sopravvissuti con qualche acciacco all’incontro ravvicinato con piccole pesti incallite. Asciugo l’umido che trasuda dalle altre copertine e li ripongo sugli scaffali mentre una marea di sorrisi bambini mi circonda: sono quelli raccolti nella serata trascorsa a insegnar loro a voltare pagina, una a una, gustandone la consistenza prima di tutto. Un’ultima lucidata a Bibliolibrò e poi via. “Tutto bene tesoro?” mi dice il mio lui un po’ preoccupato mentre arriva sul suo cavallo a motore bianco.
OBJECTS IN MIRROR ARE CLOSER THAN THEY APPEAR. La strada a volte fa paura, ma lì fuori c’è già un’altra avventura che mi aspetta.