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LA SIRENETTA

di Ivan Cenzi

“Some people are short, some people are tall, some people have two legs and I don’t.”
Shiloh Pepin on Facebook

Quando Shiloh Pepin nacque, il 4 agosto del 1999 nella cittadina di Kennebunkport nel Maine, i suoi genitori pensarono che non sarebbe riuscita a sopravvivere per più di pochi mesi. Le gambe della piccolina erano completamente fuse assieme. Shiloh non aveva né vagina, né utero, né retto; poteva contare soltanto su 15 centimetri di colon, e su un quarto di rene.
La malformazione congenita di cui soffriva Shiloh è chiamata sirenomelia ed è una patologia molto rara, che colpisce circa un neonato su centomila – un’incidenza che corrisponde più o meno a quella dei gemelli siamesi. Metà dei feti affetti da sirenomelia nascono morti e, nel caso in cui la gravidanza venga portata a termine senza problemi, la malformazione causa comunque la morte del neonato nel giro di uno o due giorni.
Date le sue condizioni, non c’erano proprio speranze per la piccola Shiloh. Sembrò resistere fino all’età di tre mesi, quando il suo rene sottosviluppato, l’unico strumento che il suo corpo aveva per filtrare il sangue, cedette. La bambina entrò in dialisi. Eppure non aveva alcuna intenzione di arrendersi: mostrava anzi una forza e un vigore sorprendenti, tali da infondere coraggio perfino ai suoi genitori. Questi ultimi cominciarono quindi a chiedersi quale fosse il futuro che aspettava la loro figlia.
Nei rarissimi casi di sirenomelia in cui il bambino sopravvive alla nascita, si procede alla separazione delle gambe per via chirurgica. Si tratta di operazioni lunghe, dolorose e complesse, che iniziano dagli impianti di silicone per distanziare le ossa e allungare la pelle, fino ai progressivi tagli per dividere le estremità. Tutto questo significa anni e anni spesi a entrare e uscire dalla sala operatoria. Ma c’è sempre l’esempio di Tiffany Yorks, un’altra ragazza affetta da sirenomelia, che oggi ha ventisei anni e proprio grazie alla chirurgia è in grado di camminare, anche se a rischio costante di riportare fratture ossee. Un caso unico al mondo, ma che dava qualche speranza ai genitori di Shiloh.
Nel frattempo la bambina cresceva e, nonostante due trapianti di reni, cominciò a frequentare la scuola elementare. Era sveglia, allegra e amante degli scherzi, e soprattutto positiva nei confronti della malattia. Amava nuotare in piscina, quasi a esorcizzare il nome scientifico di quella deformità che la voleva simile alle mitologiche creature dei mari: se proprio doveva essere una sirenetta, si sarebbe divertita a esserlo.
I genitori di Shiloh non sapevano risolversi a farla operare: nel suo caso infatti le arterie e le vene si incrociavano, passando da una gamba all’altra, così da rendere l’intervento ancora più difficile. Quando la bambina compì dieci anni, era già troppo tardi per intervenire chirurgicamente senza mettere a rischio la sua vita. Nel frattempo Shiloh era diventata una piccola celebrità: protagonista del documentario Extraordinary People: Mermaid Girl, e di altri speciali televisivi, la “sirenetta” si era guadagnata una schiera di supporter e ammiratori che attraverso Facebook e Internet le inviavano continuamente messaggi di incoraggiamento. Il massimo della popolarità arrivò con la partecipazione all’Oprah Winfrey Show il 22 settembre 2009.
Purtroppo, esattamente un mese dopo, Shiloh fu sconfitta dalla polmonite. Il suo caso rimane straordinario non soltanto perché pochissimi pazienti affetti da sirenomelia sopravvivono alla nascita, ma anche e soprattutto perché, nonostante le sfide con cui la natura l’aveva costretta a confrontarsi, non perse mai l’entusiasmo e la voglia di divertirsi.